Come con la Direttiva sui lavoratori delle piattaforme, il Consiglio europeo ha bocciato anche la Direttiva sulla Due Diligence o sulla cosiddetta Responsabilità sociale d’impresa. Italia e Germania hanno esercitato un forte ostruzionismo in occasione dell’ultimo passaggio dell’iter legislativo, quello del voto per l’adozione formale del testo da parte dei paesi membri previsto il 9 febbraio scorso.
Il principio della Due Diligence, o dovere di diligenza delle imprese, è stato elaborato con l’obiettivo di responsabilizzare le imprese europee – multinazionali, PMI, gruppi d’impresa o società – che operano nel mercato unico alla tutela dei diritti umani universali e degli obblighi in materia di ambiente e lotta alla crisi climatica.
L’Unione europea ha le carte in regola per diventare leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico e nella tutela dei diritti umani universali, poiché le politiche tendono verso una traiettoria progressista, soprattutto, grazie all’incessante lavoro dei Socialisti europei.
L’Europa però è inserita in un contesto internazionale sempre più turbolento e sempre più complesso dove, da un lato, i diritti e le democrazie sono diventati “sorvegliati speciali”, minacciati dall’avanzare delle autocrazie e da un nuovo ordine mondiale multipolare; dall’altro, invece, la lotta alla crisi climatica, ancora oggi, non impegna tutti gli Stati del mondo allo stesso modo. L’Unione infatti è il continente oggi che vanta standard ambientali più stringenti che altrove.
LE REGOLE DELLA GLOBALIZZAZIONE
L’Unione europea stringe accordi commerciali, investe nei paesi terzi o sono questi ultimi che decidono di investire nel mercato unico. Sono le regole della Globalizzazione o Iper-globalizzazione alle quali l’Unione europea non può sottrarsi ma che sono convinta possa contribuire a riformare, aprendo uno spazio a un modello sociale di mercato dentro e fuori.
Credo perciò che non è forse un caso che la bocciatura della Direttiva sulla Due Diligence sia arrivata in questa fase, in cui la Legislatura si sta chiudendo e i paesi europei sono alle prese con i calcoli elettorali, all’indomani delle proteste degli agricoltori e degli allevatori che hanno attraversato mezza Europa.
IL DOVERE DI DILIGENZA DELLE IMPRESE EUROPEE
Nel dicembre del 2023, era stato raggiunto l’accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio europeo sulla Direttiva Due Diligence con la quale l’Unione europea punta a rafforzare la protezione dell’ambiente e dei diritti umani nell’Unione europea e nel mondo.
Il testo prevedeva che le imprese europee ed extra europee – comprese le multinazionali e quelle legate ai settori ad alto rischio – attive nel mercato unico avrebbero dovuto rispettare le norme europee sui diritti e l’ambiente nella organizzazione e nell’indirizzo delle proprie attività.
La violazione del dovere di diligenza avrebbe comportato l’applicazione di sanzioni da parte di una autorità nazionale che alla luce delle nuove norme contenute nella direttiva sarebbe stata incaricata di monitorare l’attuazione di tali obblighi.
DIRETTIVA AMBIZIOSA E GRUPPI DI INTERESSE
Ogni volta che le riforme sono innovative, ci sono gruppi di interesse che ergono muri e barriere senza comprendere appieno che oggi il mondo sta cambiando rapidamente. Più rapidamente di quanto potessimo immaginare nel 2019 e che c’è bisogno di innovazione e di progresso anche e soprattutto nelle decisioni politiche.
Ad esempio, per proteggere i nostri agricoltori e allevatori, la qualità dei loro prodotti, le nostre filiere e perseguire un certo livello di autonomia e di sicurezza alimentare occorre proteggere il mercato unico là dove la Globalizzazione o Iper-globalizzazione genera fallimenti o squilibri.
Lo stesso vale se ci sono anche solo componenti di prodotti provenienti dal settore hi-tech, tessile o dell’automotive realizzati sfruttando il lavoro, e violando i diritti universali che l’UE intende proteggere e rafforzare. Tutti motivi per i quali la direttiva sulla Due diligence era e resta importante. La bocciatura del Consiglio europeo la considero un grave passo indietro.
COSA È SUCCESSO AL CONSIGLIO EUROPEO
Alla riunione degli ambasciatori dei 27 Stati membri non è stata trovata la maggioranza qualificata necessaria e il dossier non è stato messo ai voti. A guidare il blocco dei paesi europei che hanno espresso riserve: la Germania che già a dicembre era titubante sulle norme europee. Ma anche l’Italia che si è astenuta insieme ad altri Stati membri, impedendo di raggiungere la maggioranza qualificata necessaria a permettere il via libera.
Già a partire dal mese di dicembre 2022, le organizzazioni degli industriali in Italia, Germania e Francia -Confindustria, Bdi/Bda e Medef – avevano inviato una lettera congiunta ai tre governi nazionali, mettendo in evidenza tutte le criticità del testo: dalla responsabilità civile per le aziende al rischio di un disimpegno in aree strategiche del mondo, con pesanti ricadute in termini anche occupazionali.
Ritengo, però, che gli industriali abbiano sbagliato a bloccare la riforma, generando un enorme paradosso. Nelle settimane scorse, tornando alle proteste degli agricoltori, si è discusso molto e con toni accesi della concorrenza sleale e del dumping dei paesi terzi ma anche tra paesi europei. La Direttiva sulla Due Diligence avrebbe contribuito a contenere questi fenomeni che danneggiano le imprese che operano nel mercato unico rispettando i diritti umani e gli obblighi ambientali. La ritrosia delle multinazionali e delle grandi imprese a fare la propria parte per un modello economico socialmente e ambientalmente sostenibile doveva essere superata dai governi.
Invece, nessun governo, compreso quello italiano, che ha soffiato sul fuoco delle proteste degli agricoltori puntando il dito contro l’UE proprio sugli accordi commerciali con i paesi terzi, non ha mosso un dito per aprire un canale di dialogo con gli industriali per far comprendere loro che questa normativa europea è necessaria nell’interesse collettivo.
LE MIE PROPOSTE SULLA DUE DILIGENCE
Nella fase di discussione della Direttiva Due Diligence mi sono molto spesa perché la proposta iniziale della Commissione fosse ancora più efficace. Nello specifico, avevo proposto che le norme si applicassero a tutte le imprese – dalle multinazionali alle piccole e medie imprese – per evitare ‘scappatoie’.
Inoltre che:
- Le parti sociali, i sindacati e le associazioni di categoria occupassero un ruolo propositivo, di monitoraggio del rispetto dei diritti ambientali e dei diritti dei lavoratori.
- Il lato sanzionatorio è fondamentale per marcare il passaggio da una mera volontarietà all’obbligatorietà giuridica. Quindi, mentre la Commissione europea si era limitata alla responsabilità civile in caso di inosservanza, ero e resto convinta che dinanzi alla violazione dei diritti umani occorra una responsabilità penale, dotando le vittime, i lavoratori, le lavoratrici e i cittadini e le cittadine, ma anche i sindacati interessati, di tutti i mezzi adeguati per ricorrere alla giustizia contro aziende che non fanno il loro dovere.
- Infine, per il settore agroalimentare, poiché ci sono paesi europei, tra cui l’Italia, che puntano tutto sulla qualità e l’eccellenza della produzione, è necessario inserire nella proposta di direttiva, tra gli obiettivi ambientali, quello della salubrità dei prodotti, dando piena attuazione al principio di precauzione e di reciprocità nel rispetto degli standard europei da parte delle aziende che producono nei paesi terzi.