Nell’ultima settimana, in una generalizzata noncuranza di parte dei media italiani, l’attenzione del mondo politico e produttivo mondiale si è concentrato su uno stabilimento Amazon dell’Alabama di Bessemer, in cui i suoi 6.000 dipendenti erano chiamati ad esprimersi sulla possibilità di costituire in sindacato all’interno dell’azienda. Sarebbe per Amazon il primo caso negli Stati Uniti.
L’aspetto di assoluta discontinuità rispetto al passato è che lo stesso Presidente Biden è sceso in campo, sostenendo la battaglia dei lavoratori e dichiarandosi favorevole alla costituzione del sindacato in azienda. Amazon USA ha risposto alle richieste dei lavoratori dicendo che protestare non è comprensibile dal momento che i loro salari sono di 15 euro l’ora, ben oltre la media.
Tutto questo avviene mentre in Europa si moltiplicano le forme di protesta contro Amazon, in Italia ma anche Germania in cui sono stati indetti 4 giorni di sciopero.
Queste proteste, senza un reale coordinamento tra i rispettivi Paesi e peraltro con richieste diverse, hanno qualcosa in comune. Il salario è un indicatore importante, ma da solo non è garanzia della qualità del lavoro.
Nel mondo digitalizzato assistiamo a forme di produttività spinta all’estremo e meccanismi di controllo martellanti che rendono l’uomo uno strumento di massimizzazione del profitto. La proprietà di Amazon si oppone al riconoscimento di quei diritti perché considerati come costi. È inoltre evidente che è più facile affrontare i lavoratori divisi piuttosto che tutti uniti in un sindacato su base mondiale.
Ma c’è anche dell’altro: nel pieno della pandemia, Amazon è divenuto il terzo datore di lavoro mondiale con circa 1 milione e 200 mila dipendenti, di cui oltre 400 mila assunti nel 2020, a conferma di una posizione dominante conquistata nel settore della logistica. Il suo fatturato supera il Pil di numerosi Stati membri dell’Ue e la conseguenza è che adesso vanta un potere economico e negoziale che sfugge ad ogni minima forma di controllo da parte degli Stati nazionali.
Per il Movimento Cinque Stelle è l’ora di ridefinire i rapporti fra datori di lavoro e dipendenti alla luce dei cambiamenti epocali nel mondo del lavoro, non a caso il nostro primo atto, nel 2018, al governo fu l’approvazione del decreto dignità, con la tutela dei rider.
Per noi bisogna garantire a tutte le aziende uguali condizioni e con questo obiettivo al Parlamento europeo stiamo lavorando per fissare stessi obblighi contrattuali e fiscali così da stroncare il dumping dentro e fuori l’Ue.
Credo allora che i sindacati all’interno dell’azienda, soprattutto nelle grandi multinazionali, non debbano essere più visti come un freno alla crescita ma come un presidio di democrazia e diritti e fattore di competitività. La nuova rivoluzione industriale dettata dalla digitalizzazione ha bisogno, esattamente come quelle precedenti, di essere governata mettendo l’uomo al centro dei processi di trasformazione e generando benessere per l’intera collettività.
Per questo motivo, poche centinaia di dipendenti di un anonimo stabilimento americano, possono avviare un percorso virtuoso per milioni di lavoratori. Il nostro futuro passa anche per Bessemer, in Alabama.
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