Nell’ultimo mese il tema della salute e sicurezza e delle morti bianche ha occupato molte prime pagine delle testate nazionali e non. L’ultimo grave fatto di cronaca è avvenuto nel distretto industriale modenese dove Laila El Harim, 41 anni ad agosto, ha perso la vita sul luogo di lavoro. La giovane donna è rimasta schiacciata da un macchinario, una fustellatrice adibita per il packaging. Laila non è né la prima né l’ultima di una lunga lista di persone uccise dal proprio lavoro.
Secondo i dati dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), nei primi sei mesi del 2021 hanno perso la vita sul lavoro tre persone al giorno. Per un totale che lascia sgomenti: 538 lavoratori usciti di casa che non hanno fatto più ritorno dalle loro famiglie.
Eppure, pochi mesi prima, il Paese si era indignato dinanzi alla morte della ventiduenne Luana D’Orazio. Un’altra vita spezzata a causa di un telaio meccanico che non le ha lasciato scampo. Come Luana, ricordiamo poi Alessandro Rosciano, operaio di 47 anni, morto schiacciato da una lastra di cemento in un cantiere. Tante, troppe, vittime, che mostrano un Paese incapace di garantire la sicurezza di chi lavora.
Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro: bisogna andare oltre l’indignazione
Ogni volta che apprendo queste notizie, mi domando a cosa serva indignarsi senza farsi realmente carico di un impegno forte e deciso per azzerare le morti sui luoghi di lavoro. Ritengo che sia necessario realizzare un “Patto per la sicurezza” che coinvolga prima di tutto gli operatori del sistema nazionale di prevenzione.
Occorre dunque rafforzare i controlli, sensibilizzare lavoratori e imprese, potenziare la formazione e l’informazione per costruire una cultura della sicurezza. Infine, dare sostegno economico alle aziende per garantire la dovuta incolumità dei lavoratori. Tutte azioni da perseguire con determinazione, e in tempi brevi. Inoltre, è imprescindibile intervenire anche sul fronte della lotta al lavoro sommerso che contribuisce ad alimentare la spirale della “non sicurezza” sui luoghi di lavoro.
Lotta al sommerso. Troppi infortuni non denunciati
I dati diffusi dalle recenti analisi della CGIA di Mestre, stimano che sono 3.248.000 gli occupati assunti “in nero” nel nostro Paese, con una incidenza percentuale del 12,8% sul totale degli occupati.
Sebbene il fenomeno sia spesso difficile da rilevare, è evidente che laddove dilaga l’economia sommersa gli infortunati tendono a non dimostrare l’accaduto o, quando sono costretti a farlo, dichiarano il falso per non arrecare alcun danno ai caporali o a coloro che li hanno ingaggiati in modo irregolare.
Il contrasto alle morti bianche va perseguito di pari passo con la lotta agli infortuni sul lavoro, potenziando l’attività ispettiva, soprattutto, nelle aree del Paese dove l’economia sommersa è più diffusa e maggiormente radicata. Per tutti questi motivi, l’Unione europea ha il dovere di fare la propria parte. Parlare, come è stato fatto, di zero morti bianche sul lavoro non ha alcun senso, se si continuano a piangere vittime che avremmo potuto evitare.
Nel 2018, si sono ancora verificati nell’UE-27, più di 3.300 incidenti mortali e 3,1 milioni di incidenti non mortali. Ogni anno muoiono più di 200.000 lavoratori per malattie professionali.
Ecco perché il nuovo quadro UE per la salute e la sicurezza sul lavoro non è abbastanza
Alla fine di giugno 2021, la Commissione Europea ha rinnovato il suo impegno ad aggiornare le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, adottando il nuovo quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027. Essa indica le azioni chiave necessarie per migliorare la salute e la sicurezza dei lavoratori nei prossimi anni.
Questa nuova strategia si concentra su tre obiettivi trasversali:
- gestire i cambiamenti indotti dalle transizioni verde, digitale e demografica;
- i cambiamenti dell’ambiente di lavoro tradizionale;
- migliorare la prevenzione degli incidenti e delle malattie e la preparazione a eventuali crisi future.
Ritengo però che la linea tracciata dalla Commissione abbia tutta l’aria di essere l’ennesima enunciazione di buoni principi e si dimostri del tutto inconsistente dal punto di vista di una vera risoluzione del problema delle morti sul lavoro.
Esaminando il testo della direttiva in Commissione Occupazione e Affari Sociali al Parlamento europeo, ho potuto constatare che si tratta di una serie di indicazioni che non stabiliscono azioni concrete. Il provvedimento inoltre non definisce i finanziamenti necessari e/o adeguati per porre fine agli infortuni sul lavoro, costati la vita a tante persone.
Trovo inoltre pericolosissima l’idea della Commissione europea di poter immaginare due diverse normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro per i lavoratori delle piattaforme, distinguendo gli autonomi dai dipendenti. In questo modo, infatti, si spalancano le porte a una deregolamentazione che avrebbe il beffardo esito di aumentare il numero degli incidenti e delle vittime sul lavoro.
Credo che oramai sia chiara a tutti l’intenzione di tante anche multinazionali di fare dumping nel mercato interno azzerando i diritti dei lavoratori. Considerati meri costi, a partire da quelli sulla sicurezza.
La sicurezza sul lavoro deve essere una priorità europea con obiettivi e indicatori chiari e monitorabili di riduzione. Per questo servono meccanismi vincolanti. Tali da obbligare gli Stati membri a far applicare in modo serio e rigoroso le norme che già esistono. Rafforzando i sistemi ispettivi nazionali e applicando in modo severo le sanzioni laddove necessario.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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