Sul Salario Minimo Europeo, la legge più attesa e controversa degli ultimi anni
Un’eurodeputata spiega cosa cambia quando (se) verrà approvata la direttiva che limita lo sfruttamento sul lavoro.
L’immagine della marea viola ce la ricordiamo tutti. Era lo scorso 25 novembre e 500mila ragazze e ragazzi a Roma, e tante altre migliaia nel resto d’Italia, manifestarono per protestare contro il patriarcato e la violenza sulle donne dopo l’ennesimo femminicidio di cui era rimasta vittima Giulia Cecchettin.
Per l’Italia è stata una dimostrazione che le nuove generazioni sanno scendere in piazza come hanno fatto nel 68 i loro nonni. Eppure, c’è un argomento tabù contro il quale sembrano irrigidirsi, quando arriva il momento di farsi valere: i diritti del lavoro. “Millennials e Gen Z protestano volentieri per i diritti civili, per il clima, contro ciò che causa danni al pianeta. Ma rispetto alle generazioni che li hanno preceduti, effettivamente, sono meno propensi alle battaglie per il loro diritto al lavoro”.
Lo spiega a MarieClaire.it l’eurodeputata Daniela Rondinelli, che è nata all’epoca della contestazione studentesca e forse per questo è cresciuta col pallino dei diritti dei lavoratori. Dopo aver lavorato a lungo come sindacalista della CGIL, Rondinelli è stata eletta al parlamento Europeo nel 2019 ed è entrata a far parte del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici.
Lì dentro, come componente titolare della Commissione Occupazione e Affari Sociali, ha presentato una serie di emendamenti che sono entrati a far parte del testo di una delle direttive europee più controverse degli ultimi quattro anni, e di cui si dovrebbe parlare di più (ma non si fa).
LA MIA BATTAGLIA PER IL SALARIO MINIMO EUROPEO
È quella del Salario Minimo Europeo, che è anche il titolo di un libro che Rondinelli ha pubblicato per raccontarne la Via Crucis. “Controversa” perché a novembre del 2024 scadono i due anni di tempo che ogni Stato membro aveva per recepirla, ossia trasformarla in una legge nazionale come si fa per tutte le direttive approvate con il voto all’europarlamento. Ma l’Italia non lo ha ancora fatto e probabilmente diventerà un argomento di cui sentiremo parlare nei prossimi mesi.
“Quella del Salario Minimo Europeo è una direttiva nata quando nel 2019, all’insediamento del nuovo Parlamento europeo, abbiamo dovuto ammettere che c’è un vero e proprio problema di ‘povertà lavorativa’ in tutti i paesi europei”, racconta l’eurodeputata.
LA POVERTA’ LAVORATIVA: EMERGENZA SOCIALE
“Cosa sia la povertà lavorativa è facile da comprendere: è quel fenomeno che si manifesta nella vita del lavoratore quando, nonostante abbia una retribuzione fissa e regolare, non gli basta oltre le tre settimane del mese, e alla quarta deve tirare la cinghia. Nonostante in Italia – e non solo – siamo assuefatti a questa stranezza, bisogna invece prendere atto che non sia normale. Dei ventisette Paesi dell’UE, ventidue hanno il salario minimo legale (cioè stabilito per legge, ndr) e cinque invece basano le retribuzioni esclusivamente sui contratti collettivi nazionali”, prosegue Rondinelli.
“Questi cinque sono Italia, Danimarca, Svezia, Finlandia e Austria. La direttiva stabilisce un principio che è molto simile a quello dell’Articolo 36 della nostra Costituzione – Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa – e stabilisce che gli Stati membri debbano garantire retribuzioni minime adeguate per soddisfare i bisogni della persona e della sua famiglia”. Se consultiamo i dati, vedremo poi che la povertà lavorativa colpisce soprattutto donne e giovani, e quindi in particolare le giovani donne“.
DONNE, GIOVANI E LAVORO
Nonostante nei mercati del lavoro europei il numero di donne laureate sia maggiore, e nonostante aumenti il numero di quelle che si dedicano alle materie Stem, l’occupazione femminile viene infatti relegata nei servizi a minore valore aggiunto, con minore dignità della persona e con salari che non sono adeguati. “Per la mia generazione, il lavoro era il mezzo che dava dignità alla persona, per realizzare le proprie ambizioni, per mettere a frutto i propri talenti e portare a compimento le proprie aspirazioni, per noi donne era addirittura fattore di emancipazione, di libertà, di diritti; ora l’approccio al lavoro è diverso, per le nuove generazioni il lavoro sembra fare meno parte della loro vita”.
Ma la povertà lavorativa non è l’unico problema. “In molti Paesi, quando i giovani si affacciano al mercato del lavoro diventano preda della precarietà, a volte anche di sfruttamento”, fa notare l’eurodeputata. “iniziano con tirocini e stage reiterati più volte, spesso gratuiti o pagati pochissimo, o solo con dei rimborsi spese, che durano anni senza mai arrivare a una stabilizzazione della posizione. Con la direttiva del Salario Minimo abbiamo introdotto il principio che i giovani, anche se sotto tirocinio o stage, devono percepire una retribuzione”. Basta, quindi con il ricatto per cui se non accetti di lavorare gratuitamente non avrai mai il contratto? “Era necessario, in questo momento storico. Un po’ per la situazione del mercato del lavoro italiano, e in generale del mercato del lavoro europeo.
I DIRITTI DEL LAVORO NON SONO SCONTATI, OCCORRE BATTERSI OGNI GIORNO PER DIFENDERLI
C’è un forte rischio che i diritti vengano messi in discussione, le nuove generazioni non devono darli per scontati, bisogna sempre lottare affinché vengano attuati, altrimenti restano solo sulla carta. E poi, sarà a causa dell’individualizzazione digitale, ma devono capire che l’azione collettiva è lo strumento più efficace per rivendicarli, non basta la rivendicazione individuale o il rapporto personale con l’azienda”.
Per questo si parla anche di “tirocinio di qualità”, la proposta appena presentata dalla Commissione Europea, che verrà discussa nelle prossime settimane all’europarlamento: “Esistono ventisette modelli diversi di politiche attive per l’occupazione, per altrettanti mercati di lavoro dei ventisette paesi dell’unione, ma si sta facendo molto per avvicinare tra loro le varie legislazioni. Vorremmo sancire a livello europeo dei principi comuni, oltre a vietare i tirocini gratuiti, che venga anche rispettato lo scopo del tirocinio, ossia formare delle professionalità. Invece, i ragazzi si trovano a svolgere prestazioni lavorative del tutto uguali agli altri lavoratori, ma senza remunerazione e senza nemmeno essere accompagnati dalla figura del tutor. È mortificante. Occorre una legislazione che avvicini quanto più possibile la domanda e l’offerta di lavoro”. Non è tutto qui.
LE RAGIONI DELLE IMPRESE
C’è da fare la quadratura del cerchio perché dall’altra parte ci sono gli imprenditori che quando pagano onestamente le tasse e i contributi dei loro dipendenti, possono trovarsi in difficoltà. “In Italia abbiamo un sistema che pesa troppo sul lavoro dipendente”, conclude Daniela Rondinelli, “il costo del lavoro e il sistema di contrattazione collettiva nazionale sono i medesimi per il piccolo negozio e per la grande multinazionale.
“Questo è un problema, e quando sentiamo dire da qualcuno ‘chiudo l’attività perché ho molto lavoro ma non ce la faccio a pagare gli stipendi’, vuol dire che le agevolazioni di cui godono le piccole e piccolissime aziende al di sotto dei quindici dipendenti non sono sufficienti, e che di pari passo con i diritti dei lavoratori bisogna andare incontro alle esigenze di questi piccoli imprenditori, piccoli commercianti, piccoli artigiani, che sono l’ossatura della società”.