L’accordo raggiunto il 7 giugno scorso tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo è senz’altro storico. Lo è per l’UE che rilancia con grande coraggio la dimensione sociale nel mercato interno. Ma lo è soprattutto per l’Italia, unico Paese europeo, assieme ad altri cinque Stati, in cui il salario minimo resta ancora il grande assente.
Salario minimo, la direttiva va recepita a tempo di record
I numeri impietosi diffusi dall’Ocse e dall’Istat, come ho raccontato nel numero precedente, impongono all’Italia una stretta sul problema dei salari. Ci sono volute due crisi per rendersi conto degli errori commessi negli ultimi 30 anni, costellati di ritardi, di rinvii, di scuse, di contese e divisioni su un tema dall’alto valore sociale ed economico e umano.
Ritengo che quest’ultimo aspetto non vada sottovalutato, perché il lavoro è fatto prima di tutto da uomini, donne, giovani, imprenditori, datori di lavoro – persone – a molte delle quali è stata rubata la dignità. Se mettiamo assieme la dimensione sociale, economica e umana, ci accorgiamo quanto il lavoro sia un perno importante per il benessere, la crescita e lo sviluppo di un Paese.
In troppe occasioni, l’Italia ha perso l’opportunità di rilanciare e di investire, come invece avrebbe dovuto fare negli anni, sul capitale umano. Oggi, il nostro Paese è davanti al fatto compiuto, con oltre tre milioni di lavoratori e lavoratrici che pur lavorando non possono vivere dignitosamente; disoccupazione, precarietà, sfruttamento e arretratezza occupazionale. Sono questi i punti deboli di un mercato del lavoro che rischia davvero di cadere a pezzi, se non interveniamo subito. Sono convinta che la direttiva europea sul salario minimo vada recepita a tempo di record.
Salario minimo, la direttiva europea per voltare pagina
Con questa direttiva, però, su cui ho lavorato tanto e nella quale ho creduto dall’inizio alla fine, l’Italia ha la grande occasione di voltare pagina. Di lasciarsi alle spalle la lunga stagione dei ‘sì’ e dei ‘no’. Come se adeguare i salari fosse una opzione. In realtà, si tratta di un dovere morale e politico.
Oggi, con l’inflazione, il rischio di una nuova recessione, l’incertezza geopolitica e socioeconomica abbiamo assistito finalmente a una evoluzione di un dibattito sul salario minimo, iniziato in Europa – e pure impensabile qualche decennio fa quando imperversavano i diktat dell’austerity e del superrigorismo.
In Italia, purtroppo, il salario minimo è stato spesso bersaglio dello scetticismo e delle mistificazioni. Nelle stesse ore in cui sto scrivendo, ci sono purtroppo diversi esponenti del governo che si oppongono al salario minimo diffondendo la peggiore disinformazione su questa importante legge europea.
Scenda dal piedistallo ministro @renatobrunetta e dia risposte ai lavoratori e alle lavoratrici in povertà che ci sono in Italia. Non alimenti la disinformazione sulla direttiva #SalarioMinimo, che evidentemente non ha mai letto!
1/2— Daniela Rondinelli (@Dani_Rondinelli) June 9, 2022
Salario minimo, risultato storico
Sono soddisfatta del risultato raggiunto. Non solo perché tutte le mie proposte di modifica presentate nel corso di questi due anni di lavoro con i relatori e i relatori ombra in Commissione Occupazione e Affari Sociali, oggi, sono nel testo su cui è stato raggiunto l’accordo. Ma anche perché sembra solo ieri, quando nel 2019, ho creduto per prima, assieme al MoVimento Cinque Stelle, che questo passo andasse compiuto nell’interesse di tutti. Per un’Italia e un’Europa più forti e più giuste.
Da mesi dico che la direttiva europea avrebbe rappresentato una svolta. E lo confermo tutt’ora a gran voce. Chi racconta che non è così non sa di cosa parla. Mi rivolgo al centrodestra, a una parte di Confindustria e, in generale alle parti sociali, che purtroppo noto faticano ancora a mettere a fuoco l’importanza e l’urgenza del salario minimo e di una riforma complessiva del sistema di relazioni industriali.
Si è tanto parlato della necessità di adeguare i salari ma anche del bisogno che c’è di superare una Europa delle disuguaglianze. Il lavoro povero è un problema italiano ed europeo. Lo è anche gli squilibri tra i diversi Stati UE che alimentano l’odioso fenomeno del dumping sociale e salariale e della concorrenza sleale. Quante delocalizzazioni abbiamo dovuto affrontare solo perché alcune multinazionali o imprese hanno lasciato l’Italia per investire in paesi con salari più bassi?
Salario minimo, rilanciamo la contrattazione collettiva!
In Italia, il dilagare dei contratti pirata e l’indebolimento progressivo della contrattazione collettiva hanno condotto a una indecente riduzione delle buste paga. Penalizzando milioni di lavoratori e lavoratrici, e oggi più che mai, le giovani generazioni, qualificate e competenti. Con il salario minimo possiamo rilanciare la contrattazione collettiva.
Prima di tutto, il salario minimo dovrà essere applicato a tutti i lavoratori: pubblici, privati, atipici. E ai nostri ragazzi e ragazze sempre più precari, che svolgono stage e tirocini con retribuzioni ridicole o nella maggior parte dei casi gratuitamente senza prospettive di inserimento lavorativo.
Salario minimo, serve un piano di azione nazionale
Al Senato, abbiamo depositato una legge sul salario minimo. Il MoVimento Cinque Stelle, dunque, lavora da anni in Europa e in Italia su questo tema. Sono convinta che oggi bisogna ripartire, uscendo dal pantano in cui siamo finiti, ragionando sulle prospettive che offre il salario minimo ai lavoratori ma anche alle imprese italiane. Cosa significa?
Una sola cosa: che l’Italia ora non ha più scuse. La direttiva europea ha già tracciato la strada, come vi racconterò dettagliatamente nei prossimi numeri della mia newsletter. Va recepita a questo punto prima dei due anni di tempo che normalmente richiede la legge UE.
Non possiamo perdere più altro tempo. Dobbiamo lavorare su due binari: una legge sul salario minimo che fissi una soglia al di sotto della quale nessun datore di lavoro può scendere e l’apertura di un tavolo tra governo, parti sociali e Confindustria, per una riforma strutturale del sistema di relazioni industriali e della contrattazione collettiva.
Per farlo, c’è bisogno estremo di collaborare. Isolando chi si oppone al salario minimo per motivi ideologici o di mera propaganda e interesse. Il salario minimo è una misura di civiltà, l’unica arma che abbiamo per ottenere quella svolta sociale a cui puntiamo, soprattutto, nel nostro Paese. Ci sono tutte le condizioni, ora. Io continuerò a portare avanti questa battaglia partendo dai territori!
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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