Salario minimo ed equo subito. Giovani tra povertà e precarietà

salario minimo ed equo

Perché chiediamo il salario minimo ed equo? Perché gli ultimi dati Eurostat mostrano che l’Italia è più povera del 2020. Lo sono i lavoratori e le lavoratrici. Le famiglie in cui vivono migliaia di bambini con meno di sei anni, anziani e disabili. C’è una ampia platea di persone che guadagna anche due o tre euro l’ora, precari giovanissimi; under 40 pagati meno delle competenze che possiedono. Cittadini e cittadine che operano in settori deregolamentati dove da anni si taglia il costo del lavoro, parcellizzandolo.

La direttiva europea sul salario minimo

Chi mi segue da tempo, sa che ho lavorato alla legge europea ‘salari minimi adeguati’. Non solo. Che ho sempre sostenuto l’urgenza di adottare questa misura di giustizia sociale che però non va imposta alle imprese ma va approntata rilanciando la contrattazione collettiva. Negli ultimi 15 anni si è indebolita molto, lasciando milioni di lavoratori e lavoratrici con buste paga da fame.

Il problema dei salari è trasversale. Colpisce uomini e donne – anche se c’è una questione di genere sulle retribuzioni che non siamo ancora riusciti a superare né in Italia né in Europa –. Penalizza i giovani e i meno giovani, italiani e stranieri. Perché la direttiva europea entri in vigore, manca solo il voto definitivo dell’Eurocamera previsto per il 12 settembre. Sono da sempre convinta che questa legge costituisca un apripista per l’introduzione del salario minimo in Italia. Il provvedimento prevede che gli Stati membri possano adeguare le retribuzioni anche con la contrattazione collettiva. Purché funzioni bene.

Oltre l’80% circa dei rapporti di lavoro in Italia è coperto dai contratti collettivi nazionali di lavoro. I CCNL sono il nostro punto di riferimento. Il tavolo tra sindacati e imprenditori, voluto dal governo Draghi, è il metodo giusto per arrivare al salario minimo ed equo. Peccato che sia finito in un nulla di fatto per la crisi politica e per le dimissioni del presidente del Consiglio. Alzare i salari è possibile portando avanti un dialogo tra le parti sociali, avviando una ‘concertazione’ in tempi utili, prima però che il costo della vita eroda i redditi e il potere d’acquisto delle famiglie e dei nostri giovani.

Salario minimo ed equo, perché…

Non basta contrastare la povertà lavorativa con il salario minimo. L’Italia deve adeguare i salari dei nostri ragazzi e ragazze più qualificati e competenti che percepiscono in media uno stipendio più basso dei loro coetanei europei a parità di competenze e qualifiche. Con il salario equo possiamo superare questa ingiustizia. E impedire che dopo anni di studio e corse ad ostacoli tra stage e tirocini non retribuiti o retribuiti male, centinaia di giovani lascino il nostro Paese per trasferirsi all’estero per condizioni economiche e professionali più giuste e più eque.

salari più bassi della media Ue

Nel 2021 il salario lordo annuale medio nel nostro Paese, pur recuperando da 27,9 mila euro del 2020 a 29,4 mila euro del 2021, rimane ancora a un livello inferiore a quello pre-pandemico (-0,6%). Si amplia ulteriormente il divario tra le retribuzioni italiane e quelle francesi e tedesche, con le nostre che rimangono sotto la media dell’Eurozona (37,4 mila euro lordi annui, +2,4%).

Secondo l’Ocse, inoltre, l’Italia è l’unico Paese in cui i salari sono diminuiti negli ultimi trent’anni, complice la stagnazione di Pil e produttività: -3%, mentre la Germania segna +34%, la Francia +31% e la Spagna +6%. Una situazione che ha penalizzato duramente i nostri giovani. I nati dopo il 1986 hanno il reddito pro-capite più basso della storia italiana e lo stipendio medio tra i più bassi d‘Europa. Quello dei giovanissimi è ancora più irrisorio: circa 1.741 euro lordi al mese. Non c’è da stupirsi che oggi 7 milioni di giovani vivono ancora con i propri genitori.

Per fermare i giovani in fuga e il calo demografico

L’ingresso nel mercato del lavoro è un percorso a ostacoli tra una miriade di stage spesso pagati male o non pagati affatto oppure costretti a svolgere mansioni ben al di sotto delle competenze che possiedono. L’Italia ha perso attrattività. Negli ultimi 15 anni oltre mezzo milione di giovani hanno lasciato il Paese per trasferirsi all’estero. L’emorragia dei “cervelli in fuga”, ragazzi con un alto livello di istruzione e specializzazione, va avanti ininterrottamente e ci danneggia.

L’emigrazione giovanile ha già mandato in fumo 14 miliardi di euro di Prodotto interno lordo. Inoltre, in questo particolare momento storico in cui siamo chiamati ad affrontare con coraggio le sfide che il futuro ci impone nell’ambito della lotta al cambiamento climatico, della transizione verde, della crescita tecnologica e digitale, perdere le competenze dei nostri giovani significa impoverire l’Italia e non essere in grado di creare nuovo sviluppo.

La fuga dei giovani dall’Italia non importa che si tratti di ricercatori, professionisti, diplomati o neo laureati contribuisce al declino demografico. La popolazione italiana si sta riducendo: si fanno pochi figli (in media 1,32 per donna) e il saldo tra nati e morti è negativo da oltre 25 anni. L’Istat prevede che nel 2038 gli over 65 saranno un terzo della popolazione (31,3%).

Contro la morsa dell’inflazione

Ribadisco che l’introduzione di un salario minimo ed equo è fondamentale per agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E recuperare anni di ritardo durante i quali le nuove generazioni sono state trascurate. L’Italia non può più perdere tempo. Deve puntare dritto verso questa direzione. Occorre riconoscere ai nostri ragazzi il valore delle competenze acquisite nel corso dei loro anni di studio. E restituire al tempo stesso dignità a 6 milioni di lavoratori e lavoratrici che a fatica arrivano oggi alla fine del mese a causa di retribuzioni troppo basse. In modo particolare oggi chi ha un lavoro autonomo, e chi, tra i dipendenti, lavora nel corso dell’anno in regime di tempo parziale.

La direttiva europea garantisce salari che tengono conto del costo della vita. Una misura quanto mai importante se vista alla luce della difficile situazione della nostra economia, stretta nella morsa di una inflazione sempre più elevata.  Anche se i rapporti di lavoro sono coperti in gran parte dai contratti collettivi nazionali di lavoro, dobbiamo superare debolezze e carenze. Abbiamo bisogno di CCNL genuini. Rinnovando quelli scaduti e togliendo di mezzo quelli di comodo, i primi che spingono verso il basso i salari in diversi settori produttivi. Farlo è nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici e delle imprese.  Vogliamo finalmente ridurre la forbice delle disuguaglianze in Italia e in Europa, e scongiurare il peggio con la crisi legata al costo della vita.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.