Tra i punti del mio programma elettorale per gli italiani all’estero c’è il salario minimo ed equo. Cosa significa? Significa che sono convinta che sia giunto il momento di rendere l’Italia un Paese attrattivo sul fronte del lavoro e dei salari, dopo 30 anni di ritardi e di rinvii.
Tanti giovani costretti a lasciare il Paese
Se centinaia di migliaia di italiani lasciano il nostro Paese è perché sul tema del lavoro e dei salari non è stato fatto abbastanza. A pagarne il prezzo più alto sono sicuramente i giovani. Le statistiche ci dicono che ogni anno che passa aumenta il numero degli italiani che si trasferiscono all’estero. Nella maggior parte dei casi sono giovani tra i 20 e i 40 anni.
Negli ultimi 10-15 anni, infatti, i cittadini iscritti all’AIRE per questa fascia d’età sono aumentati del 179%. Neppure la pandemia Covid-19 è riuscita a contenere l’emigrazione degli italiani verso altri paesi, in modo particolare verso i paesi europei. + 3% nel 2021 rispetto al 2020. Ragazzi e ragazze penalizzati dai bassi salari, al di sotto della media europea, e dalle barriere di ingresso nel mercato del lavoro. Fuggono i cervelli, professionisti, ricercatori e scienziati. Per farli tornare in Italia non possiamo pensare che basti esclusivamente puntare su agevolazioni e sgravi fiscali.
Scappano anche i diplomati e soprattutto i neolaureati che rispetto al resto d’Europa hanno maggiori difficoltà a trovare un impiego. Sappiamo bene quanto sia complicato e spesso avvilente per un giovane oggi entrare nel mercato del lavoro: un percorso a ostacoli tra stage (troppo spesso non pagati) e contratti a tempo che non lasciano spazio ad alcuna progettualità nel medio e lungo periodo. Ecco dunque che la fuga all’estero rappresenta la sola alternativa ad un futuro incerto e con salari poco allineati alle competenze acquisite nei lunghi anni di studio e formazione o, più in generale, a paghe che non consentono di arrivare serenamente alla fine del mese.
Abbiamo bisogno di un salario minimo e equo
Come candidata alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Estero-Europa sono convinta che sul tema del lavoro e dei salari sia urgente intervenire con il salario minimo ed equo e riformare i meccanismi che regolano oggi l’ingresso nel mercato del lavoro.
Al Parlamento europeo ho dedicato molto del mio lavoro, come componente della Commissione Occupazione e Affari sociali, all’approvazione della direttiva sul salario minimo. Il 14 settembre scorso, il via libera definitivo del Parlamento europeo a questa legge che ho sempre definito una misura di dignità e di giustizia sociale di cui l’Europa, ma soprattutto l’Italia, non possono più fare a meno.
Nel nostro Paese i salari restano tra i più bassi d’Europa. Nel 2021 il salario lordo annuale medio, pur recuperando da 27,9 mila euro del 2020 a 29,4 mila euro del 2021, rimane ancora a un livello inferiore a quello pre-pandemico (-0,6%). Si amplia ulteriormente il divario tra le retribuzioni italiane e quelle francesi e tedesche, Le nostre rimangono sotto la media dell’Eurozona (37,4 mila euro lordi annui, +2,4%).
Il testo definitivo della direttiva europea, che nel corso di questi anni, ho contribuito a migliorare con i miei emendamenti, traccia la strada per portare l’Italia al passo con gli altri Stati membri. Il mio auspicio è che il Paese si muova presto nella direzione giusta, applicando, prima dei due anni previsti, la direttiva salario minimo.
Agevolare la mobilità per motivi di studio
Più opportunità per i giovani e un’Italia più attrattiva dipendono anche dal saper valorizzare e capitalizzare la ricchezza culturale, economica e sociale che proviene dagli italiani all’estero. Credo, quindi, che ci sia bisogno di cambiare e di adattare vecchi sistemi alla società e al mercato del lavoro che stanno cambiando.
Molti giovani, ad esempio, scelgono di andare a studiare o specializzarsi all’estero per ampliare il loro bagaglio di conoscenze e competenze, confrontandosi con altre realtà. Tutto questo rappresenta un valore aggiunto fondamentale. Un know-how che non possiamo disperdere. Dobbiamo rafforzare e garantire un concreto diritto alla mobilità, permettendo ai nostri giovani, tramite il riconoscimento automatico dei titoli di studio conseguiti all’estero, di spendere senza problemi le competenze e le conoscenze acquisite in uno o più paesi dell’Europa.
Per dare più opportunità ai giovani, infine, è fondamentale aumentare gli investimenti per la ricerca e l’innovazione rispetto ai quali l’Italia è fortemente indietro. La spesa pubblica è al di sotto della media europea: 0,4-0,5% contro il 2,2%. Mi batterò su questo fronte convinta che il nostro Paese, al di là del PNRR, debba investire meglio e in modo strutturale su queste due voci di spesa, fino ad arrivare almeno all’1% del PIL.