Il 12 giugno scorso, i ministri del Lavoro dei 27 Stati membri hanno trovato un accordo sulla direttiva lavoratori delle piattaforme che riguarderà non solo i rider, ma anche gli autisti e i lavoratori domestici. Tutti i cosiddetti gig worker, i quali dall’avvento delle piattaforme digitali, sono stati più volte protagonisti di casi di abuso, sfruttamento, caporalato. Complice la forte deregolamentazione di questi anni.
Tra i punti qualificanti di questo accordo, che ha aperto i negoziati col Parlamento europeo e la Commissione europea per il via libera definitivo alla direttiva lavoratori delle piattaforme che ho contribuito a migliorare come componente della Commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento europeo, sicuramente c’è il riconoscimento del principio della presunzione di subordinazione a favore dei lavoratori e delle lavoratrici.
L’idea originaria del Parlamento europeo doveva essere quella di un principio libero da qualsiasi criterio. Il Consiglio europeo però ha deciso di agganciarlo ad almeno tre.
Nel complesso, la decisione del Consiglio europeo rappresenta un segnale positivo, anche perché ha accolto con favore – c’era infatti il fondato timore che non si raggiungesse una intesa – due dei principi cardine della direttiva. Principi sui quali ho insistito in fase emendativa in Commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento europeo.
A TUTELA DEI RIDER DUE I PRINCIPI CARDINE
Il primo principio è naturalmente quello della presunzione di subordinazione. Il più importante perché implica l’inquadramento come dipendenti dei lavoratori o lavoratrici delle piattaforme, lasciando l’onere e la responsabilità alle aziende di dimostrare la natura autonoma del rapporto di lavoro. E i motivi per una non-assunzione. Il principio consente quindi ai lavoratori e alle lavoratrici interessate di denunciare la loro condizione ai sindacati e ai giudici senza timori.
Il secondo invece riguarda la trasparenza e l’accessibilità degli algoritmi impiegati dalle piattaforme per monitorare e per valutare le prestazioni di lavoro. Le aziende, diversamente da quanto accade oggi, dovranno fornire informazioni complete ai lavoratori e alle lavoratrici. Su questo secondo principio ho insistito molto, convinta che le norme sul lavoro devono rendere trasparenti gli algoritmi. Algoritmi che rischiano di generare discriminazioni, opacità e disuguaglianze negli ambienti di lavoro; ma anche di compromettere la salute e la sicurezza delle persone.
RIDER, ALGORITMI TRASPARENTI
In modo particolare, l’avvento dell’intelligenza artificiale sta sollevando non pochi interrogativi sul futuro del lavoro. Non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi. Sono stati sollevati quesiti sul trattamento dei dati dei lavoratori e delle lavoratrici, sulla trasparenza e infine la responsabilità del processo decisionale in azienda.
Le piattaforme digitali utilizzano regolarmente algoritmi per la gestione delle risorse umane. I gig worker sono in una posizione di svantaggio perché non sanno nemmeno come funzionano questi algoritmi che definiscono tempo e modalità di lavoro. Per questo ritengo essenziale informare i lavoratori e le lavoratrici sull’uso di sistemi decisionali e di monitoraggio artificiali e automatizzati.
L’obiettivo della direttiva non è vietare l’uso degli algoritmi nei processi decisionali, di monitoraggio e valutazione negli ambienti di lavoro. Lo scopo è quello di affiancare sempre del personale qualificato agli algoritmi per impedire e prevenire qualsiasi forma di trattamento sfavorevole e iniquo.
La sorveglianza umana deve sicuramente essere garantita per alcune decisioni significative, come la sospensione degli account.
Della direttiva lavoratori piattaforme hanno bisogno 28 milioni di lavoratori e lavoratrici nell’Unione europea, da anni, mal tutelati e mal pagati. Se, agli inizi era giustificabile l’assenza di un sistema organico di norme, oggi invece, che l’economia delle piattaforme ha un peso occupazionale importante ed è cresciuta molto, soprattutto, con la pandemia Covid 19, è essenziale garantire i diritti e le tutele fondamentali.
Non sappiamo ancora con esattezza quanti siano gli addetti delle piattaforme digitali, in Italia, ad esempio, sono stati stimati circa mezzo milione di occupati; mentre i 28 milioni circa di gig worker nel mercato unico, secondo l’Unione europea, potrebbero raddoppiare al 2025.
Grazie anche alla deregolamentazione, la crescita della gig economy ha avvantaggiato e arricchito le imprese. Multinazionali approdate in Europa, convinte di potere riprodurre e mantenere un modello sociale e di lavoro che l’Unione europea ha sostanzialmente bocciato, per costruire invece un modello alternativo che rimetta al centro il benessere e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
La direttiva lavoratori piattaforme ha l’ambizione di spazzare via quella zona grigia rappresentata da circa 5,5 milioni di occupati falsi autonomi che dovrebbero potere godere degli stessi diritti sociali, salariali e lavorativi dei dipendenti secondo le norme europee. Ora l’Unione europea si affretti ad approvare questa legge europea che contribuisce a rafforzare la dimensione sociale del mercato unico europeo.