In Italia, il governo Meloni ha cancellato il Reddito di Cittadinanza mentre il Parlamento europeo, lo scorso 15 marzo, ha detto sì ad una legge sugli schemi di reddito minimo, chiedendo ai paesi membri di rafforzare e modernizzare i regimi nazionali. La risoluzione approvata dalla Plenaria del Parlamento sottolinea che le misure di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale devono essere rese più inclusive e accessibili.
COSA PREVEDE LA RISOLUZIONE
Il Parlamento europeo ha fissato alcuni capisaldi fondamentali per riformare in modo positivo il Reddito di Cittadinanza. Innanzitutto, stabilisce che i beneficiari non devono rischiare di perdere il sussidio per un impiego. Allo stesso tempo, l’offerta di lavoro proposta deve essere di qualità, soprattutto, dal punto di vista della retribuzione. Il testo inoltre sottolinea la necessità di migliorare le politiche attive per il lavoro che devono essere complementari al sussidio e non possono sostituirsi all’aiuto economico, specie nel caso di lavoratori scarsamente qualificati. Infine, i paesi membri devono rendere i regimi nazionali di reddito minimo il più possibile inclusivi. L’Europa ha già bocciato criteri che riducono la platea dei beneficiari in base agli anni di residenza, stante la condizione di povertà o di difficoltà economiche e occupazionali.
REDDITO DI CITTADINANZA, L’INCOERENTE PROPOSTA DEL GOVERNO
Credo che sia dannoso per il Paese, il tentativo di trasformare il reddito di cittadinanza in uno strumento che discrimina e non affronta il problema della povertà, dell’esclusione sociale e della disoccupazione. Fin da quando il governo Meloni ha deciso abrogare il reddito di cittadinanza, ho detto che l’Italia avrebbe assunto una posizione contraddittoria e incoerente.
Non solo sono convinta che la proposta della misura di inclusione attiva (o MIA) non riformi il reddito di cittadinanza in quanto sussidio per le famiglie e le persone in condizione di povertà o indigenza, ma credo anche che di fatto lo sostituisca del tutto, sconfessando la recente raccomandazione europea che lo stesso governo Meloni ha firmato in seno al Consiglio. Già solo i nuovi criteri fissati per definire gli importi, e trapelati dalla bozza, non favoriscono al momento le famiglie più numerose, con redditi molto bassi o monoreddito, come pure aveva promesso Giorgia Meloni in campagna elettorale.
Trovo inoltre del tutto insensato tagliare il sussidio a circa 500 mila cosiddetti “occupabili” per garantire loro, senza soluzione di continuità, appena 375 euro al mese: una vera e propria miseria che non garantisce un livello di vita dignitoso. Così come trovo sbagliata l’idea del décalage, senza neppure un accenno alla riforma sulle politiche attive per il lavoro. Dalla bozza di riforma infatti risulta che verranno dati degli incentivi alle agenzie interinali, quindi, ai privati. Nulla ai centri per l’impiego, ai quali sarebbero destinati in parte le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
COME LA METTIAMO CON I RINCARI?
L’inflazione al 9% e le bollette di luce e gas che nei mesi scorsi hanno raggiunto livelli record hanno aumentato le probabilità di far scivolare milioni di persone sotto la soglia di povertà, in Italia e in tutta Europa. A questo si aggiungono dati preoccupanti che riguardano la povertà lavorativa. Il nostro Paese è il quarto in Europa per percentuale di lavoratori poveri – 11,8% contro una media dell’8,2%. Si calcola che un quarto dei lavoratori italiani abbia retribuzioni talmente basse da non riuscire a vivere dignitosamente: cosa fa dunque il governo Meloni? Affossa il reddito di cittadinanza e dice no al salario minimo.
OLTRE IL REDDITO DI CITTADINANZA
Per questo sono molto critica nei confronti di un governo che avrebbe dovuto migliorare e potenziare il reddito di cittadinanza, partendo dalla raccomandazione europea sugli schemi di reddito minimo e porsi politicamente in linea alla richiesta del Parlamento europeo di una direttiva. Inoltre, il governo Meloni attacca il reddito di cittadinanza senza tenere conto che l’Unione europea ha sostenuto questa misura e ne ha chiesto una riforma adeguata perché i dati hanno dimostrato che è servita a contenere la povertà. E fino a oggi è risultata indispensabile come aiuto economico per almeno un milione e mezzo di famiglie italiane.
Il governo avrebbe potuto cambiare i requisiti di accesso, ad esempio, stando attento a non penalizzare i singoli beneficiari: mi riferisco alle donne e ai giovani, quali soggetti che percepiscono i redditi più bassi, colpiti dalla precarietà e in maggiore difficoltà in un mercato del lavoro in trasformazione dove il capitale umano va sostanzialmente riallocato per rispondere alle esigenze della trasformazione verde e digitale.
Ecco perché, dopo il question time alla Camera dei Deputati del 15 marzo scorso, sono ancora più critica con questo governo e le destre. Incoerenti, demonizzano il reddito di cittadinanza ma tacciono sul lavoro povero, e non dicono che tra quei 500 mila cosiddetti “occupabili” ci sono centinaia e centinaia di persone scarsamente qualificate o che i lavoratori e le lavoratrici italiane percepiscono troppo poco e che occorre una misura strutturale come il salario minimo. No. Per il governo non è la soluzione. Meglio voltare le spalle ai più deboli della società non sapendo offrire alternative e soluzioni credibili e realizzabili.