Il numero di lavoratori poveri in Italia ha raggiunto livelli record.
Circa un quarto degli occupati ha un reddito individuale basso, mentre
un lavoratore su dieci si trova in una condizione di povertà.
L’incidenza della povertà lavorativa è in crescita del 3% in poco più di un decennio. Passa infatti dal 10,3% al 13,2%. Il fenomeno colpisce di più, in termini relativi, chi vive in nuclei monoreddito. Chi ha un lavoro autonomo, e chi, tra i dipendenti, lavora nel corso dell’anno in regime di tempo parziale. Si sono aggiunte le nuove professioni, esplose in una manciata di anni grazie alle
piattaforme digitali che hanno basato molto del loro sviluppo proprio sul basso costo del lavoro.
Insomma, negli ultimi 30 anni,
gli stipendi degli italiani sono sempre risultati sganciati dal costo della vita.
Diminuendo di quasi tre punti percentuali, mentre il Paese produceva a fatica, ogni anno, nuova ricchezza. Per risolvere i tanti problemi irrisolti di un mercato del lavoro che cade a pezzi, oggi, l’unica via è il salario minimo. Con l’approvazione della direttiva europea, l’Europa per la prima volta mette nero su bianco la necessità di fermare la povertà lavorativa aggravatasi con la pandemia. E che potrebbe aumentare a causa della guerra e dell’inflazione.
La garanzia del salario minimo in tempo di crisi
Durante le crisi economiche, salari minimi adeguati rappresentano un fattore fondamentale di protezione dei lavoratori con redditi medio-bassi. Il salario minimo può garantire, quindi, una ripresa economica socialmente sostenibile e sicuramente più inclusiva, traghettando il mercato del lavoro verso un’occupazione di qualità.
Il salario minimo non minaccia le imprese, anzi. La legge europea, che dà la possibilità agli Stati membri di introdurre il salario minimo per legge o di fissarlo in base alla contrattazione collettiva, proietta il mercato verso una maggiore concorrenza. Sicuramente più sana e più equilibrata neutralizzando il fenomeno del dumping salariale e sociale. Grazie alla pandemia è emerso con forza che esistono settori economici in cui le retribuzioni sono molto basse, vedasi il settore della cura e dell’assistenza nel nostro Paese, in cui le buste paga nel 90% dei casi sono ben al di sotto dei 9 euro lordi l’ora. Eppure, questi stessi settori si sono rivelati fondamentali durante l’emergenza sanitaria.
Il costo della vita alle stelle, stabile attorno al 6,7%, soprattutto a causa dei prezzi record dei beni energetici pongono l’Italia davanti all’urgenza di impedire una erosione del potere di acquisto delle famiglie. Un vero e proprio crollo della domanda interna e una nuova povertà sociale ed economica. Con la direttiva europea sui salari minimi ed equi inoltre abbiamo la grande occasione di smussare il divario salariale tra uomini e donne e di
lottare contro il precariato che colpisce i più giovani.
Nei prossimi numeri vi racconterò come la legge europea considera il salario minimo legale e quali sono i criteri per la fissazione di minimi adeguati e dignitosi e il buon funzionamento della contrattazione collettiva. Sono convinta però che all’Italia serva nel più breve tempo possibile rilanciare la contrattazione collettiva, e la direttiva è un ottimo apripista per farlo.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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