Peste suina, ogni zona rossa è una sconfitta. Serve strategia europea

peste suina

La peste suina (Psa) è un’emergenza europea. Il nuovo focolaio nel Lazio, dopo i casi di infezione riscontrati in Piemonte e Liguria, dimostra che avevamo ragione a chiedere alla Commissione europea una strategia più chiara ed efficace di prevenzione per la gestione della fauna selvatica.

Peste suina, amministrazioni locali abbandonate

Le amministrazioni locali, abbandonate a loro stesse, non sono in grado di fronteggiare in modo efficace la diffusione del virus. Che rappresenta un enorme pericolo per la salute e per il nostro made in Italy.

A Roma, che con i suoi 1.287 km2 di superficie e quasi tre milioni di abitanti è il più grande Comune agricolo dell’Unione Europea, le istituzioni locali hanno immediatamente circoscritto un’area molto vasta di circa 65 chilometri quadrati. E avviato l’abbattimento preventivo dei cinghiali e di centinaia di suini da allevamento.

Una grave minaccia anche per il comparto dell’ecoturismo, fondamentale per l’economia laziale, composto da migliaia di piccole aziende e imprese a conduzione familiare.

La diffusione della peste suina in Europa

Eppure sappiamo bene che la peste suina circola in Europa da anni, e ha già colpito diversi Stati membri.

I primi casi di contagio sono stati segnalati alle porte dell’Unione europea. In Russia e Bielorussia e, successivamente, in Polonia, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Grecia, Lituania, Romania, Ungheria, Bulgaria. Ma anche in Germania, Belgio e Repubblica Ceca dove la peste suina africana ha colpito diversi allevamenti suinicoli.

A partire dal 2018, dopo i primi casi nei cinghiali selvatici in Belgio, la Psa si è diffusa in modo molto rapido verso i Paesi dell’Europa occidentale.

Al momento, Belgio e Repubblica Ceca sono riuscite a contenere la malattia mettendo a punto dei piani rigorosi, che appare del tutto evidente non sono bastati.

Nel settembre 2020, infatti, il virus è stato individuato nei cinghiali selvatici anche in Germania.

E ora in Italia. Dopo i primi casi riscontrati in Piemonte e Liguria, l’allarme si estende anche al Lazio. E rischia di mettere in crisi altre regioni a forte vocazione suinicola come Marche, Toscana e Umbria.

La Peste suina pesa su settore già stremato

La Psa colpisce i cinghiali selvatici che la trasmettono ai suini. I maiali più a rischio sono quelli allevati allo stato brado, presenti anche nelle regioni del Centro Italia.

Dagli anni Settanta e Ottanta, ma in modo particolare a partire dagli anni Novanta, i cinghiali selvatici sono aumentati in modo sistematico in Italia e nel resto d’Europa.

Secondo le stime della Coldiretti, solo nel nostro Paese la popolazione ha superato i 2,3 milioni di esemplari.

Il comparto delle carni suine è tra l’altro ancora provato dai due anni e mezzo di pandemia e, negli ultimi tempi, dal forte aumento dei costi di produzione legati all’inflazione per mangimi, fertilizzanti ed energia.

E, nel frattempo, persistono restrizioni alle frontiere sulle carni e i salumi da parte di Stati stranieri che minaccia seriamente il made in Italy di carni suine, il cui export a livello mondiale vale circa 1,7 miliardi di euro.

I fatti non solo mi stanno dando ragione ma confermano l’urgenza di trovare una strategia comune a livello europeo per affrontare la diffusione del virus.

La mia interrogazione alla Commissione europea

Nel corso degli ultimi mesi ho raccolto le preoccupazioni degli allevatori e delle amministrazioni locali, tra Marche, Umbria, Toscana e Lazio. E ho presentato come prima firmataria una interrogazione parlamentare alla Commissione europea chiedendo azioni mirate di prevenzione e di contenimento degli animali selvatici che, ammalandosi, rischiano di infettare i suini.

Con questa interrogazione, ho chiesto di affrontare la peste suina a livello europeo, sostenendo gli sforzi dei territori colpiti, con risorse aggiuntive a tutela della bio-sicurezza. Poi finanziamenti specifici per gli allevamenti allo stato brado e soprattutto piani di prevenzione nella gestione della fauna selvatica. Possibile solo attraverso un monitoraggio ‘attivo’ dei boschi e delle foreste per tutelare dalla malattia i suini e in modo particolare quelli allevati allo stato brado.

Nonostante queste richieste, la Commissaria alla salute e alla Sicurezza Alimentare Kyriakides ha risposto che andava tutto bene, una risposta molto più che miope e sconsiderata mentre a causa della peste suina i territori si vedono costretti ad abbattere i capi infetti. A dimostrazione, che i meccanismi finora adottati sono insufficienti e dannosi per un intero settore e per gli animali.

Contro la peste suina serve una strategia comune: la mia replica alla Commissione

Il 18 maggio scorso sono quindi tornata a far sentire la mia voce e quella di altri europarlamentari italiani con una lettera inviata alla Commissione (qui il testo integrale). Ho insistito sulla necessità di una strategia comune europea contro la peste suina. Basta circoscrivere le aree infette, istituendo immense ‘zone rosse’, come si sta facendo a Roma o è stato fatto in Liguria e Piemonte. Questa strategia è del tutto inutile.

È facile constatare infatti che i cinghiali selvatici possono continuare a spostarsi su tutto il territorio nazionale. Se continuano a esserci zero casi di peste suina negli allevamenti, lo dobbiamo principalmente all’attenzione e al profondo rispetto delle normative sulla bio-sicurezza da parte degli allevatori italiani. Mentre la Commissione europea di fatto li abbandona a loro stessi.

Per questo, ora più che mai, la Commissione non può sottrarsi dall’intervenire con misure serie, urgenti, straordinarie, mirate e concrete. Sostenendo le amministrazioni locali e gli allevatori, sia le terre colpite sia quelle a rischio.

Dobbiamo prevenire un’ulteriore diffusione del virus e nel frattempo tamponare le gravi conseguenze socioeconomiche di questa emergenza. Prima che sia davvero troppo tardi.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
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