La pesca è un settore importante nel passaggio da una economia lineare a una economia circolare.
Le normative ambientali volte a tutelare gli stock ittici hanno generato delle difficoltà di tipo economico, occupazionale e sociale per interi territori.
La piccola pesca, particolarmente diffusa in Italia, non può essere trattata come “mero settore produttivo”, poiché spesso rappresenta una delle poche fonti di reddito oltre che un elemento identitario e culturale delle comunità costiere.
In Europa abbiamo assistito allo sviluppo di diversi modelli di pesca, in particolare in funzione delle peculiarità dei territori. Anche se non sempre in modo lineare. Vediamo il perché.
Le difficoltà della piccola pesca italiana
Sulla sponda atlantica questo settore ha aumentato il volume di attività, con esso i salari e migliorato la qualità della vita dei pescatori, incluse le condizioni di salute e sicurezza a bordo dei grandi pescherecci.
La piccola pesca artigianale, invece, spesso poco tutelata in Europa, è stata costretta ad adattarsi a schemi e modelli che poco avevano a che fare sia con le caratteristiche biologiche dell’ecosistema marino ma anche con i modelli economici mediterranei e italiani.
Risultato: un pescatore danese che va a caccia di salmoni guadagna in media 4mila euro al mese, mentre i pescatori italiani vivono talvolta al limite della sussistenza.
Ho avuto testimonianza diretta delle difficoltà del settore nel corso di una serie di incontri a Ostia, municipio di Roma Capitale, in cui c’è una forte vocazione per il settore
Discutendo con Giuliana di Pillo, presidente del Municipio, Paolo Ferrara, assessore Roma Città Metropolitana, l’assessore al Bilancio del Municipio di Ostia, Paola Zanichelli, e l’assessore all’Ambiente, Alessandro Ieva, sono emerse alcune criticità, confermate in seguito anche dai pescatori del luogo che ho avuto modo di ascoltare:
- Scarsa redditività delle imprese e dei salari;
- Scarsa sicurezza sul lavoro;
- Mancanza di adeguati incentivi per i giovani ad entrare nel settore.
La situazione di Ostia non è diversa da quelle che ho avuto modo di conoscere sui altri territori della costa tirrenica e adriatica. Ritengo che non ci sarà alcun futuro per la pesca se l’Unione europea non cambierà approccio.
Pesca, le mie proposte in Commissione Occupazione e Affari Sociali
Partendo dalle testimonianze raccolte sui territori, ho portato le mie proposte in Commissione Occupazione e Affari sociali dove tra dicembre 2020 e marzo 2021 si è discusso il testo della relazione “Fishers for the Future”.
Gli emendamenti da me proposti hanno influenzato la versione finale del provvedimento. Sono convinta che la pesca debba essere declinata in modo equilibrato tenendo sempre conto della dimensione economica, sociale e ambientale.
Uno dei passi fondamentali poi da compiere è rinnovare il ruolo del pescatore, affinché diventi un vero “Guardiano del Mare”.
I pescatori infatti sono attori importanti nella protezione e nella pulizia dei mari, attraverso il conferimento a terra dei rifiuti accidentalmente pescati.
Le normative in materia non hanno mai agevolato questa attività. Troppo spesso i piccoli porti non sono attrezzati per la raccolta differenziata dei rifiuti, in modo particolare di quelli “speciali”, che richiedono un trattamento di smaltimento particolare.
Pesca, incentivi ai pescatori per la raccolta e il conferimento dei rifiuti
Ritengo che questa attività, di cui tutta la collettività beneficia, incluse le imprese del turismo e dei trasporti coinvolti nell’economia blu, debba essere chiarita e semplificata sul piano normativo. Non solo.
I pescatori devono essere equamente compensati e incentivati, fino a creare una filiera del valore dei rifiuti riciclati che coinvolga anche i Comuni costieri, previo ammodernamento infrastrutturale dei porti.
Questa mia visione sono convinta che dia alla pesca una declinazione più sostenibile e moderna. I giovani possono giocare un ruolo determinante per innescare il cambiamento.
Nel nostro Paese però l’età media tra i pescatori resta superiore ai 60 anni. Il rischio è che tra meno di un decennio il mondo della piccola pesca scompaia. Per questo, credo che sia fondamentale spingere i giovani a entrare nel settore.
Inoltre, i pescatori conoscono bene l’incertezza legata alla loro attività, dato che ogni battuta di pesca è diversa dall’altra; per questo hanno bisogno di certezze sia giuridiche sia economiche.
Prima di tutto, è necessario un rinnovamento della flotta che in Europa nella piccola pesca ha in media 35 anni di navigazione.
Compatibilmente con gli obiettivi di sostenibilità ambientale, urge garantire i massimi livelli di salute e sicurezza a bordo.
Infine, un altro aspetto spesso trascurato dal comparto riguarda il riconoscimento dei diritti delle donne, generalmente coinvolte nella economia informale che si svolge sulla terraferma (la manutenzione delle reti, la pulizia e selezione del pescato etc etc).
Il futuro della pesca riguarda tutti
Sostengo dunque una nuova governance dei nostri fiumi, delle nostre coste e dei nostri mari. Istituzioni, partner sociali, società civile convergano verso la creazione di un modello che non lasci indietro i piccoli pescatori europei. Al fine di garantire loro benessere, sicurezza, sostentamento e infine un ruolo attivo in difesa dell’ambiente.
La pandemia ha evidenziato la necessità di ricercare forme di autosufficienza su scala europea e in tutti i settori produttivi, inclusa la pesca. Questo settore oggi inizia a essere visto con occhi diversi, perché finalmente è stata messa al centro delle strategie del nuovo FEAMP.
I problemi che oggi riguardano la pesca non vanno trascurati o dimenticati.
Costruire un modello alternativo più sostenibile della pesca industriale è ancora possibile. Ma solo invertendo un rapporto di forze che oggi vede premiata le attività intensive e lo sfruttamento degli stock ittici ai danni di chi il mare lo ama davvero e intende proteggerlo per sé e per le generazioni future.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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