Con il Recovery plan Next Generation Eu si è riusciti a controbilanciare, almeno in parte, l’iniziale proposta della Commissione che avrebbe messo in seria difficoltà tutto l’agroalimentare. Nell’attesa di conoscere l’esito del negoziato tra Parlamento e Consiglio sul nuovo bilancio, una nuova sfida ci attende: creare una governance efficace e strumenti condivisi e monitorabili per raggiungere obiettivi ambiziosi sotto il profilo della sostenibilità economica, sociale e ambientale. Purtroppo è stata necessaria una pandemia per rivedere certe impostazioni ma oggi tutti siamo consapevoli dell’importanza di avere un sistema agroalimentare sano, resiliente e soprattutto autosufficiente. Questo non è un punto di arrivo, ma un ottimo punto di partenza dal quale provare a ricostruire un settore strategico e svilupparlo nel quadro della transizione verde. La prossima Politica agricola comune, che entrerà probabilmente in vigore nel 2023, dovrà essere ambiziosa nei contenuti e sul piano finanziario per sostenere la sfida del New Green Deal, declinato sul fronte agroalimentare con le due strategie Farm to Fork e Biodiversity. Siamo solo all’inizio di un percorso che deve portare alla creazione di un patto di fiducia tra produttori e consumatori basato sulla qualità, la trasparenza e la sicurezza dei processi produttivi e dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole. L’Italia si trova già in una posizione favorevole rispetto a molti altri paesi europei, essendo al primo posto per numero di produttori bio e il secondo, dopo la Francia, per estensione di terre coltivate con 2 milioni di ettari (il 46% sono nel sud Italia). La Commissione ha fissato l’obiettivo di aumentare al 25% entro il 2030 i terreni agricoli coltivati a biologico nell’Ue. Ma visto che la redditività dei terreni coltivati in modo bio è più bassa è necessario trovare il modo per soddisfare la domanda dei consumatori, mantenendo il settore e i prezzi in equilibrio, assicurando allo stesso tempo una transizione equa per gli agricoltori e trasformando le sfide in opportunità commerciali. Il target del 25% in tanti paesi è forse troppo ambizioso anche se con scadenza decennale, ma l’Italia può e deve farcela. Per questo è tanto più importante una PAC realmente “unica ed europea”, altrimenti rischiamo di generare nuovo dumping nel mercato interno. Nel definire la nuova politica agricola comune, una delle cose che bisognerà assolutamente evitare è la regionalizzazione della nuova PAC, mentre non si potrà prescindere dal dosare e bilanciare con sapienza la sostenibilità sotto il punto di vista ambientale, economico e sociale. Lo slittamento di due anni è una grande opportunità, poiché ci da la possibilità di recepire correttamente i contenuti della nuova PAC ed elaborare un buon Piano Strategico e soprattutto negoziarlo in modo efficace con la Commissione. Integrare la PAC con il Green New Deal è la nostra sfida più grande. Per realizzare questo processo è necessario superare la distanza che negli ultimi anni ha separato agricoltori e ambientalisti, partendo dal presupposto di una mutua collaborazione. Dobbiamo lavorare insieme per ridurre l’agricoltura intensiva e raggiungere la neutralità climatica. Nella proposta della Commissione, grande rilevanza avrà l’elaborazione, da parte di ciascuno Stato membro, di un Piano Strategico Nazionale. Nello specifico del PSN sotto il profilo ambientale, un ruolo chiave avranno le nuove “condizionalità” e gli eco-schemi che rappresentano uno strumento importante per incentivare gli agricoltori ad applicare la legislazione europea, migliorando esponenzialmente la qualità della produzione, ma bisogna ricordare che con tutta probabilità la loro applicazione resterà su base volontaria e anche in questo caso, la regionalizzazione rischia di rappresentare un limite poiché porta ad una distorsione degli strumenti. In definitiva, almeno sulla carta, molte scelte della Commissione appaiono corrette, in quanto si individuano nella resilienza, biodiversità e digitalizzazione tre aspetti chiave della ripartenza della nuova PAC. Ma alcune Strategie, come Farm to Fork o quella sulla Biodiversità, pur partendo da principi corretti, lasciano ancora più di qualche interrogativo, per non parlare di alcune misure chiaramente controverse. La Strategia Farm to Fork, ad esempio, deve risolvere numerose ambiguità, tra cui quella sull’etichettatura fronte pacco: non è accettabile il modello francese dell’etichettatura e semaforo, bensì è importante dare ai consumatori le corrette informazioni per compiere delle scelte alimentari sane e consapevoli (anche per questo è importante estendere in etichetta le informazioni sull’origine dei prodotti). In tal senso, l’etichettatura a batteria presentata dal governo italiano appare più corretta poiché indirizzata alla ricerca dell’equilibrio nutrizionale tra i diversi cibi consumati nella dieta giornaliera e non genera distorsioni del mercato.