Daniela Rondinelli, vi state giocando molto sul salario minimo. Riuscirete a ottenere qualcosa in Europa, dato che in due anni e mezzo di governo non avete concluso molto?
«La direttiva europea rappresenta l’occasione storica per portare il salario minimo in Italia che, ricordo, è uno dei sei Paesi europei a non prevederlo ancora nel suo ordinamento. Siamo molto vicini a raggiungere questo risultato in Europa. Dopo l’approvazione, l’Italia avrà due anni di tempo per recepire la direttiva. I tempi sono lunghi, è vero, ma d’altronde dobbiamo essere realisti: con Lega e Forza Italia in maggioranza difficilmente arriveremmo a un accordo in tempi brevi. Bene dunque la direttiva, frutto del lavoro del Movimento 5 Stelle in Europa».
Che cosa prevedono le vostre proposte?
«Le nostre proposte definiscono meglio i criteri per definire il salario minimo: non deve essere mai al di sotto della soglia di povertà relativa e deve essere superiore al 50% del salario lordo medio e del 60% salario lordo mediano. Abbiamo cancellato i riferimenti alla produttività e abbiamo inserito esplicitamente il fenomeno del dumping salariale che va contrastato. Il salario minimo europeo deve inoltre essere esteso a tutti i lavoratori, nessuno escluso: dai domestici ai lavoratori atipici dai tirocinanti agli stagisti. Le aziende che non rispettano le norme sulla contrattazione collettiva previste dalla direttiva non potranno accedere ai fondi pubblici o europei. Per noi il recepimento, l’attuazione e il monitoraggio della direttiva in Italia deve vedere il coinvolgimento delle parti sociali maggiormente rappresentative».
A proposito, il salario minimo non rischia di aumentare i costi per le imprese in un momento di difficoltà per la pandemia?
È esattamente il contrario. Già oggi le imprese italiane soffrono la concorrenza, per certi versi sleale, dei loro competitori che nei Paesi dell’Est hanno un costo del lavoro decisamente più basso. Questo ha favorito il vergognoso fenomeno delle delocalizzazioni che ha impoverito il tessuto produttivo italiano. Questa direttiva arginerà invece il dumping sociale. Un salario minimo europeo, rispettoso delle differenze nazionali, aiuterebbe dunque anche le nostre imprese a competere in maniera equa nel mercato europeo. In Italia i costi per le imprese non aumenteranno perché i riferimenti sono i minimi tabellari già stabiliti dalla contrattazione collettiva che però deve essere in grado di coprire il 100% dei lavoratori, in particolare le nuove professionalità che nasceranno dalla transizione ecologica e digitale.
Il salario minimo era anche nel programma elettorale dei socialisti: è un tema per intrecciare legami più solidi con loro?
«Il salario minimo era la bandiera di Timmermans, quando nel 2019 da Spitzenkandidat dei Socialisti si era candidato alla Presidenza della Commissione. La relatrice socialista olandese Agnes Jongerius ha presentato al Parlamento europeo un testo decisamente migliore rispetto a quello elaborato dalla Commissione europea. Lavoreremo insieme per vincere la partita più difficile: quella dell’accordo con il Consiglio visto che molti Paesi dell’Est si preparano alle barricate. A loro questo sistema di dumping sociale fa comodo ma è tempo di dire basta ai lavoratori sfruttati e basta alla concorrenza sleale fra imprese europee».
A proposito: ci sono novità su un eventuale ingresso del Movimento nel gruppo S&D?
« Il dialogo fra gli europarlamentari del gruppo S&D e la nostra delegazione non si è mai interrotto. Ci confronteremo con gli europarlamentari del Pd con il quale il rapporto nelle singole Commissioni è molto buono e collaborativo. Sono certa che lotteranno con noi per rendere ancora più ambiziosa la direttiva europea sul salario minimo e costruire un’Europa sociale. Per quanto riguarda il passo formale di adesione è giusto che sia Giuseppe Conte, il futuro leader, a farlo. Lui ha un rapporto consolidato con i premier spagnoli e portoghese Sanchez e Costa, appartenenti alla famiglia del S&D, ed è grazie al loro sodalizio che oggi abbiamo il Recovery Fund in Europa».
Quanto incide lo stallo del Movimento nelle vostre trattative?
«Ha sicuramente ritardato una decisione che vede la delegazione compatta e unanime. Nel 2019 eravamo al governo con la Lega, potevamo scegliere la strada comoda di una alleanza europea tecnica così come avevamo fatto nei cinque anni precedenti con Farage. Coraggiosamente invece abbiamo scelto di sostenere la Commissione europea, una scelta che ha pagato visto che in maggioranza abbiamo ottenuto la direttiva sul salario minimo, il Recovery Fund, la sospensione del Patto di Stabilità e il Green New Deal. Di questa scelta politica va dato atto alla lungimiranza della delegazione. Oggi dobbiamo capitalizzare questi risultati dialogando con le forze che hanno la solidarietà nel loro dna».
Ora il curatore speciale di Cagliari vi crea nuovi problemi con Rousseau…
«È una situazione paradossale. Spiace vedere la prima forza politica nel Parlamento della terza più grande democrazia europea bloccata da veti. Giuseppe Conte non è un ‘non iscritto’ alla piattaforma Rousseau, come qualcuno ha inopinatamente detto, ma è un leader riconosciuto da tutto il Movimento 5 Stelle e non solo. La carta dei principi e del valori e il nuovo statuto sono pronti. Il Neo Movimento di Giuseppe Conte è l’unica speranza che gli italiani hanno per costruire la Neo Europa che ci porterà nel 2050 e non sarà una querelle giudiziaria a fermarlo».
Contenuto pubblicato su @Corriere della Sera il 12 maggio 2021