Nel discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato lo scorso 16 settembre dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, è comparsa, per la prima volta in maniera chiara e inequivocabile, la volontà di dare concretezza ad una maggiore equità sociale da raggiungere attraverso l’introduzione di un salario minimo europeo.
L’annuncio è stato accolto positivamente da molte delle forze dell’arco parlamentare, tra cui noi del Movimento 5 Stelle, che ha sempre abbiamo sostenuto questa battaglia di giustizia sociale nelle aule di Bruxelles.
Per quanto riguarda il sistema italiano l’introduzione del salario minimo sarebbe una misura particolarmente positiva in quanto permetterebbe di tutelare maggiormente lavoratori atipici e imprese dal dumping salariale che, come noto, rappresenta la principale causa delle delocalizzazioni e l’elemento maggiormente distorsivo del mercato interno. Lo stesso però non si può dire per i Paesi dell’Europa centrale e orientale la cui pressoché assenza di relazioni tra le parti sociali non garantisce una forte e robusta contrattazione sulla fissazione dei salari, comprimendoli così verso il basso. È proprio questa concorrenza sleale fra Paesi amici che dobbiamo far cessare.
Il tema del salario minimo è da tempo tra gli obiettivi del Governo italiano, che punta ad una retribuzione non inferiore a 9 euro l’ora, ed è al centro di due proposte di legge – una presentata dal Pd, l’altra dal Movimento 5 Stelle – che sono all’esame del Parlamento, sinora senza esito.
Adesso, grazie alla spinta dell’Unione Europea, si potrebbe avere un’accelerazione nel processo decisionale e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha già inserito il tema nelle linee guida del nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’impiego del Recovery Fund – New Generation EU. L’obiettivo è quello di garantire ai lavoratori un livello di reddito collegato ad uno standard minimo dignitoso, evitando al contempo il dumping contrattuale e rafforzando la contrattazione nei settori in cui è più debole.
Per essere realmente incisiva, stabilizzante e riequilibratrice del mercato interno, occorre che la futura proposta legislativa sia agganciata a due meccanismi di calcolo proprio per evitare il dumping salariale nel mercato interno e la legalizzazione di salari al di sotto della soglia di povertà .
Il primo, è il principio che prevede che le parti sociali negozino un salario minimo non inferiore al 60% del salario mediano nazionale; il secondo, dovrà essere quello di fissare il salario minimo ad un livello non inferiore al salario mediano europeo, o comunque non inferiore alla soglia di povertà relativa.
A questo dovrà agganciarsi un meccanismo di indicizzazione annuale automatica come già avviene nella gran parte dei paesi UE, in modo tale che il salario minimo sia sempre attualizzato, anno per anno, con il costo reale della vita.
La combinazione di questi tre elementi rappresenta uno strumento necessario e fondamentale per livellare verso l’alto gli standard salariali nell’ambito di una convergenza comune europea.
Noi del Movimento 5 Stelle, abbiamo chiari da tempo gli obiettivi e le modalità per raggiungerli e il nostro impegno sarà proprio quello di contribuire ad una proposta che non sia meramente di facciata ma che serva realmente a scardinare e riequilibrare quelle distorsioni che hanno generato tanto danno all’Europa e ai suoi cittadini.