L’approvazione definitiva della direttiva ‘salari minimi adeguati ed equi’ è sempre più vicina. La settimana prossima, Consiglio, Commissione e Parlamento dovrebbero arrivare a un accordo sul testo che dovrà essere poi discusso e approvato in Plenaria a Strasburgo.
Quello sulla legge UE salario minimo è stato un percorso molto lungo, iniziato nel 2020, con la proposta della Commissione UE, e conclusosi al Parlamento UE il 25 novembre 2021. Quando la Commissione Occupazione e Affari Sociali ha votato il via libera al testo che contiene, al momento, tutti i miei emendamenti.
Il mio lavoro sul testo della direttiva
Le mie proposte di modifica della direttiva puntano a rendere questa misura equa e adeguata a risolvere tutta una serie di squilibri del mercato interno europeo caratterizzato da dumping salariale e sociale tra i paesi, concorrenza sleale e talvolta delocalizzazioni giustificate solo dal taglio del costo del lavoro.
Il vero obiettivo di questa direttiva è soprattutto permettere agli Stati membri di fissare un minimo salariale al di sotto del quale i datori di lavoro non possono scendere, tenendo conto del costo della vita in ciascun paese.
La direttiva prevede che il salario minimo può essere fissato per legge oppure per contrattazione collettiva. Inoltre, questa legge si applicherà a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici europee: pubblici, privati, atipici, precari, stagisti e tirocinanti e donne, che ancora oggi guadagnano in media circa il 20 per cento in meno degli uomini in busta paga a parità di lavoro e competenze.
Ho proposto che il salario minimo non venga mai legato alla produttività. Esso rappresenta una soglia di dignità per il lavoratore e la lavoratrice che gli consente di vivere senza rischiare di scivolare verso la povertà.
Nuove dinamiche del lavoro, salario minimo come garanzia
Le dinamiche del mercato del lavoro stanno cambiando molto velocemente. Con la pandemia, l’Italia ha conosciuto un boom dello smart working o lavoro agile, ma anche dei ‘mini jobs’ o lavoretti offerti dalle piattaforme digitali.
Il salario minimo deve garantire tutte le categorie, senza eccezioni, per combattere abusi e sfruttamento e migliorare così il mercato del lavoro.
In fase di discussione in Commissione Occupazione e Affari Sociali, ho alzato ancora di più l’asticella. Ho proposto, infatti, che il salario minimo sia sempre al di sopra della soglia di povertà relativa.
Indispensabile per garantire al lavoratore e alla famiglia uno standard adeguato di vita, l’accesso ai beni e ai servizi fondamentali, la protezione da eventuali shock imprevisti.
Ho voluto, inoltre, che nella direttiva fosse inserito il principio della condizionalità sociale. Un meccanismo, fondamentale nel settore agricolo, che impedisce alle imprese e alle multinazionali, che non rispettano i diritti dei lavoratori, di accedere ai fondi europei diretti e indiretti. E di partecipare ai bandi degli appalti pubblici o ai sub-appalti.
Salario minimo, garanzia di dignità per il lavoro
Quando la direttiva europea sarà approvata in via definitiva, gli Stati avranno due anni per recepirla.
Tutti i paesi europei – al momento 21 su 27 – hanno il salario minimo. L’Italia, assieme a Cipro, Austria, Danimarca, Svezia e Malta, è l’unico grande Paese europeo a non averlo ancora adottato, nonostante le nostre richieste e la nostra proposta di legge.
L’esame in Commissione Lavoro è iniziato solo qualche mese fa. In ritardo, purtroppo, con all’orizzonte le elezioni politiche nel 2023.
Nei giorni scorsi, alcuni giornali nazionali hanno tentato di richiamare l’attenzione sul salario minimo. In più occasioni è stato giustamente definito una garanzia. Perché lo è, per tutte le ragioni che ho spiegato poc’anzi. I numeri impietosi diffusi dall’Ocse e da Eurostat, questa settimana, dimostrano che l’Italia ha urgente bisogno del salario minimo. Aspettare ancora, con questa inflazione, è un rischio enorme per il Paese.
Il dibattito è fermo
La discussione sul salario minimo è rimasta ferma al ‘sì’ e al ‘no’, quando è una certezza oggi che l’Italia è ultima in Europa per crescita media dei salari e tra i primi per tasso di disoccupazione giovanile.
Sono convinta che il salario minimo europeo potrà aiutare l’Italia a voltare pagina, perché quando la direttiva sarà approvata in via definitiva, il nostro Paese avrà davanti a sé solo due opzioni: rimanere indietro e non recepire la direttiva europea danneggiando lavoratori e imprese; oppure scegliere finalmente di fissare un salario minimo per contrattazione collettiva, risolvere il grande problema della giungla dei contratti pirata, rilanciare davvero il ruolo dei sindacati maggiormente rappresentativi, premiare le imprese oneste, e proteggere l’occupazione dal dumping salariale, dalla concorrenza sleale e dalle delocalizzazioni di tipo predatorio.
Governo e parti sociali hanno un enorme responsabilità. E credo che recepire in fretta la direttiva, ben prima dei due anni, possa sbloccare il pantano sui salari e sul lavoro in cui l’Italia è caduta.
Lavoro e povertà
Sui salari cittadini e cittadine meritano una risposta. Non abbiamo più bisogno di misure palliativo o di pannicelli caldi. Non credo sarà sufficiente un decreto ‘salva-salari’ per risolvere i due grandi nodi che pesano sul mercato del lavoro italiano: le buste paga più basse della media UE e la povertà lavorativa.
Secondo gli ultimi dati Oxfam, in Italia 1 lavoratore su 8 vive con reddito insufficiente per mantenere il nucleo familiare. L’incidenza della povertà lavorativa in crescita del 3% in poco più di un decennio è passata dal 10,3% al 13,2%. Il fenomeno colpisce di più, in termini relativi, chi vive in nuclei monoreddito, chi ha un lavoro autonomo, e chi, tra i dipendenti, lavora nel corso dell’anno in regime di tempo parziale.
Senza considerare le nuove professioni. Quelle che si sono affacciate e diffuse in una manciata di anni grazie alle piattaforme digitali che hanno basato molto del loro sviluppo sul basso costo del lavoro.
Insomma, negli ultimi 30 anni, gli stipendi degli italiani sono sempre risultati sganciati dal costo della vita. Inoltre, sono diminuiti di quasi tre punti percentuali, mentre il Paese fatica a produrre ogni anno ricchezza. Per risolvere i tanti problemi irrisolti di un mercato del lavoro che cade a pezzi, oggi l’unica via è il salario minimo.
Salario minimo, gli italiani lo sostengono
Gli italiani vogliono questa misura. Lo dimostrano anche i dati raccolti dall’ultimo sondaggio Swg secondo il quale il salario minimo sarebbe accolto favorevolmente dall’86% della popolazione che teme le basse retribuzioni e il lavoro precario. La paura di un reddito insufficiente, infatti, tocca il 37 per cento degli intervistati, collocandosi al primo posto tra le preoccupazioni sondate dall’istituto demoscopico.
I giovani restano i più penalizzati dalla stagnazione dei salari. I nati dal 1986 in poi infatti percepiscono in media buste paga più basse di sempre. Non solo rispetto alle generazioni precedenti, ma anche rispetto ai coetanei europei.
Oggi la situazione dei nostri ragazzi e ragazze è persino peggiorata, stretti in una doppia morsa: retribuzioni da fame e inflazione galoppante. Tutto questo rischia di alimentare una nuova stagione di emigrazione dal nostro Paese e di aggravare la crisi demografica.
Al pari dei loro coetanei europei, i giovani italiani meritano stabilità, paghe adeguate e maggiori diritti, tutti ingredienti necessari per poter costruirsi una famiglia e riconoscere il loro apporto allo sviluppo economico e sociale grazie ai loro talenti e creatività.
La richiesta da parte dei cittadini è chiara: governo, parlamento e parti sociali devono difendere il reddito e tutelarli dalla povertà.
Ci siamo mai chiesti perché, mentre in Francia, Spagna e Germania in questi mesi e persino durante le campagne elettorali, si è parlato a gran voce del salario minimo qui, purtroppo, questo tema resta ancora relegato a brevi e saltuari spazi di dibattito?
Perché il dibattito è inquinato da odio ideologico, retorica e propaganda. Gli attacchi al reddito di cittadinanza, descritto come il male assoluto del mercato del lavoro italiano, ne sono la dimostrazione lampante.
Reddito di cittadinanza misura contro la povertà
Quando parliamo di non lasciare indietro nessuno, di volere dare dignità al lavoro e di proteggere i più deboli, pensiamo subito al salario minimo ma anche al reddito di cittadinanza. ‘I veri nemici del lavoro’ sono altri. Primo fra tutti, i salari da fame che non consentono ai lavoratori e alle lavoratrici che li percepiscono di arrivare alla fine del mese, e per questo, sono costretti a integrare il loro reddito con quello di cittadinanza.
Ci sono circa cinque milioni di lavoratori poveri, mentre per ora poco meno di tre milioni e mezzo di persone percepiscono il RdC, tra questi, molti cittadini e cittadine che avrebbero comunque difficoltà a trovare un’occupazione: i più deboli della società che noi vogliamo difendere e sostenere a tutti i costi!
Nei giorni scorsi, il Commissario Ue al Lavoro, Nicolas Schmit, ha difeso il reddito di cittadinanza e il salario minimo, due strumenti fondamentali nella lotta alla povertà lavorativa e per una maggiore giustizia sociale. Eppure ogni giorno gli attacchi nei confronti di queste due misure sono inqualificabili e basati su una montagna di fake news.
Come quella secondo la quale il reddito di cittadinanza sarebbe un disincentivo al lavoro per molti giovani. Ridicolo. Il reddito di cittadinanza italiano in media è di 500 euro al mese – il più basso in Europa – e in troppi settori i salari offerti non vanno oltre questa stessa cifra.
Io dico: affrontiamo i problemi reali del Paese: lavoro sommerso e irregolare, buste paga da fame e/o sfruttamento con orari di lavoro inaccettabili. Alziamo i salari!
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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