L’Italia recupera terreno in termini di occupazione e migliora la produttività del lavoro, ottenendo risultati migliori della media europea.
Dopo il crollo del 2020, anno in cui ha pesato molto la chiusura generalizzata delle attività economiche, il nostro paese dà segnali positivi che però da soli non possono bastare per garantire a tutti una crescita solida e duratura.
L’Unione europea ha imboccato la strada della ripresa. Ma dietro le percentuali dobbiamo tenere conto che ci sono persone, ingranaggi sempre più complessi e fattori di imprevedibilità e incertezza. Il mondo del lavoro in Italia e in Europa è soggetto a un numero crescente di delocalizzazioni, di abusi e sfruttamento, di episodi di caporalato infine di discriminazioni e di disuguaglianze di genere.
Lavoro, segnali positivi ma oltre i dati sull’occupazione c’è di più
Il fatto che l’Italia abbia recuperato i posti di lavoro perduti durante il 2020 è un segnale positivo che non ci deve però impedire di interrogarci sul tipo di occupazione che serve all’Italia e all’Europa.
In questo numero ho già parlato dei giovani. E ho ricordato quanto sia importante il lavoro per il benessere individuale e collettivo. Soprattutto se guardiamo alla condizione di milioni di donne europee costrette per esempio a fare sempre meno figli.
Il caso dell’Italia
In base ai dati dell’Istituto nazionale di Statistica crescono nel nostro Paese gli occupati con contratti a termine. Per un totale di tre milioni di lavoratori nel terzo trimestre del 2021 pari al + 2,3 per cento sul trimestre precedente e al 13,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020.
Un tale mercato del lavoro che si basa molto sui contratti a tempo determinato in tanti settori economici del Paese accresce le fila dei cosiddetti working poor persone che nonostante un’occupazione non riescono ad arrivare alla fine del mese e che hanno bisogno degli aiuti economici dello Stato.
L’aumento dei posti di lavoro equivale oggi a un contratto su tre con una durata di appena un mese, due su tre non dura oltre i 6 mesi mentre meno di uno su 100 va oltre un anno. Crescono i contratti di lavoro di brevissima durata, anche una settimana in particolare nei settori alberghiero e ristorazione sui quali l’andamento della pandemia, è certo, sta creando maggiori incertezze. Seguono i servizi e l’industria.
I dati diffusi dall’Istat segnalano questa stessa tendenza anche nelle pubbliche amministrazioni: dalla scuola alla sanità.
È questo il tipo di occupazione che serve all’Italia e all’Europa, oggi, prossimi a dare esecuzione a tutta una serie di interventi grazie al Next Generation Eu?
Io credo di no.
Come si può progettare la crescita di un Paese con milioni di precari che ad esempio in Italia in media non percepiscono più di 9mila euro l’anno. Con forti differenze anche tra categorie di lavoratori: la retribuzione media scende infatti ad appena 5.600 per gli stagionali a fronte di 24.500 euro l’anno per un lavoratore più stabile (dati Inps 2020).
Occupazione, ancora una volta: sì al salario minimo per dire basta alle paghe da fame
Per questo auspico al più presto una riforma delle politiche attive sul lavoro.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano è molto ambizioso. E le risorse europee devono servire anche a garantire finalmente tutele e diritti a milioni di lavoratori e lavoratrici.
Credo anche che il salario minimo sia una misura di civiltà che deve aggiungersi (e non certo sostituirsi) alle riforme del mercato del lavoro. Perché la direttiva agevolerebbe i Paesi UE nel mettere fine al lavoro precario, allo sfruttamento e infine al caporalato.
In Italia ho trovato molto preoccupanti gli ultimi dati diffusi dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in base ai quali i casi di caporalato sono in aumento dal Nord al Sud.
Le vittime sono migliaia di donne, giovani e meno giovani, stranieri costrette a subire irregolarità e la totale assenza di qualsiasi garanzia per la loro salute e la loro sicurezza negli ambienti in cui lavorano.
Violazioni sistematiche del diritto del lavoro non avvengono oramai solo nel settore agricolo dove emergono casi di abuso quasi ogni giorno. Il caporalato cresce anche nell’edilizia, nella logistica e infine nei servizi alla persona.
L’impegno in Europa
Ciò a cui dobbiamo puntare è una crescita economica fondata sull’occupazione di qualità, sulla equità e sul diritto sacrosanto al lavoro onesto.
Al Parlamento europeo in questi mesi ho lavorato per rendere tale obiettivo il più concreto possibile.
Dal salario minimo, alla direttiva sui gig worker, alla direttiva sulla parità salariale. È necessario fare in modo che tutto ciò si realizzi già entro il 2023.
L’anno che scandirà la tappa intermedia della messa a punto del Next Generation EU. Il tempo stringe.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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