Il lavoro minorile è un fenomeno che ci riguarda da vicino. Solo in Italia, 336mila bambini e ragazzi tra i 7 e i 15 anni hanno già vissuto esperienze di lavoro. Sono figli del XXI secolo e vivono in uno dei continenti più industrializzati al mondo, eppure senza diritti e tutele lavorano nella ristorazione, nell’edilizia, in agricoltura e nel commercio. Non solo: una parte di questi minori oggi lavora anche su Internet.
Il lavoro minorile è una minaccia allo sviluppo sociale, perché è legato alle sacche di povertà, di disagio, di indigenza e illegalità che, in Italia, si concentrano, ancora, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno.
Il lavoro minorile è però anche un problema europeo. Pensate che in Europa lavora il 2,3% dei bambini e dei ragazzi, pari a 3,8 milioni di minori. Parliamo di una percentuale tra le più basse al mondo ma sono convinta che l’Unione europea debba puntare a obiettivi ambiziosi e debellare una volta per tutte il lavoro minorile.
LAVORO MINORILE IN ITALIA, I DATI AL 2021
A lanciare l’allarme sul lavoro minorile in Italia è stata Save the Children, secondo cui quasi un 14-15enne su cinque svolge, o ha svolto, un’attività lavorativa prima dell’età legale consentita. Tra questi, oltre un quarto (27,8%) ha svolto attività particolarmente dannose per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, durante il periodo scolastico, in orari notturni o percepiti come pericolosi.
Circa 58mila adolescenti impiegati nel settore della ristorazione (25,9%), della vendita al dettaglio (16,2%), delle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), la cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma anche nuove forme di lavoro online (5,7%): la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, la rivendita di scarpe sportive o cellulari.
Più della metà dei giovanissimi lavora tutti i giorni e per più di quattro ore al giorno.
MINORI A RISCHIO ESCLUSIONE
I dati disponibili, comunque sottostimati, fotografano una situazione preoccupante, che condanna centinaia di migliaia di minori ogni anno a rinunciare all’istruzione, al proprio sviluppo e benessere psico-fisico. Con ripercussioni nell’età adulta.
Il governo prenda sul serio questi dati. Realizzi una strategia per contrastare la dispersione e l’abbandono scolastico tramite politiche ad hoc e investimenti specifici per potenziare la rete di assistenza sociale; rafforzare e non smantellare le misure di sostegno al reddito delle famiglie e potenziare controlli e sanzioni negli ambienti di lavoro e renderli sistematici e regolari nei territori e/o nelle aree urbane più povere e degradate.
Non importa che l’Italia sia un paese europeo, del G7 e del G20, come denunciato da Unicef e ILO i minori che rinunciano alla educazione e all’istruzione finiscono per lavorare. Accade in tutto il mondo: oltre un quarto dei minori tra 5 e 11 anni e più di un terzo di quelle tra 12 e 14 anni non frequentano la scuola! Con conseguenze dirette sulle prospettive di giovani che spesso vivono già dall’infanzia in una condizione svantaggiata.
LAVORO MINORILE, NEET E DISPERSIONE SCOLASTICA FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA
La dispersione scolastica è direttamente collegata con il fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment or Training), ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di istruzione o di formazione.
È un fenomeno che riguarda, secondo i dati Istat del 2021, il 24% dei bambini e dei ragazzi italiani e che colpisce di più le donne, i disabili, coloro che hanno un background migratorio, coloro che provengono da situazioni familiari svantaggiate e coloro che vivono in aree remote.
In una società dove il livello di istruzione è sempre più importante per l’accesso al lavoro, e quindi anche per evitare il rischio di esclusione sociale, il contrasto all’abbandono e alla dispersione scolastica precoce rappresenta un obiettivo centrale.
Già nell’ambito dell’agenda 2020 l’Unione europea aveva fissato come target che i giovani europei tra 18 e 24 anni senza diploma superiore (o qualifica professionale) fossero meno del 10% del totale (poi ulteriormente abbassato al 9%).
L’Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat, è il terzo paese in Europa per abbandono scolastico (12,7%), dopo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%).
Per il nostro Paese, raggiungere l’obiettivo europeo significa prima di tutto ridurre gli ampi divari territoriali Nord-Sud. Per questo, non vedo come l’autonomia regionale differenziata, proposta dall’attuale governo, possa aiutare a risolvere importanti fenomeni sociali, come il lavoro minorile.
Il grande pericolo è l’aggravarsi delle disparità: non solo tra Nord e Sud ma anche tra aree interne e centri urbani, tra periferie e città.
2023, L’ANNO EUROPEO DELLE COMPETENZE
Sappiamo quanto la crisi generata dal Covid 19 abbia avuto un impatto ancora più forte sulle persone vulnerabili che sono state colpite da shock di reddito e dalla mancanza di accesso alla protezione sociale, con la conseguenza che un maggior numero di minori è stato costretto a lavorare invece che continuare a studiare.
Per questo, il Parlamento europeo, già nel 2021, ha avanzato una proposta di risoluzione che, tra i vari punti, chiedeva alla Commissione e agli Stati membri di porre fine, nel diritto e nei fatti, al lavoro minorile e a tutte le altre forme di lavoro che possano nuocere alla salute e alla sicurezza dei minori.
L’anno europeo delle competenze, che sarà inaugurato il 9 maggio prossimo, si muoverà anche verso questa direzione. Con un’attenzione particolare anche alla riqualificazione, al miglioramento e aggiornamento continuo delle competenze professionali.
Italia ed Europa devono tutelare milioni di bambini, ragazzi e ragazze: il nostro presente e il nostro futuro. E la scuola gioca un ruolo fondamentale. Una scuola inclusiva, capace di rispondere in modo adeguato alle esigenze di ciascuno, è il presupposto fondamentale per una società pienamente sviluppata, in cui ogni persona può realizzarsi al meglio.