Venerdì 11 settembre 2021 sono intervenuta alla 12esima edizione del Festival Luci sul Lavoro che si svolge nel Comune di Montepulciano. La manifestazione ha dedicato uno spazio della discussione al fenomeno della Gig Economy, sempre più in crescita in Italia e in Europa.
Secondo le stime della Commissione europea, l’economia delle piattaforme digitali è quasi quintuplicata. Passando da circa 3 miliardi di euro nel 2016 a circa 14 miliardi di euro nel 2020. Il fenomeno è diffuso anche in Italia. In base alle stime dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, in Italia sono 213mila i gig worker. Il 42% è senza contratto, mentre il 19,2% ha un contratto di collaborazione.
Iconicamente rappresentato dai rider delle principali piattaforme del food delivery, il “gig worker” è sempre più esposto al precariato e allo sfruttamento, basati su indeterminatezza giuridica, salari indecenti e algoritmi opachi e pervasivi.
Lavoratori delle piattaforme, votazione storica al Parlamento UE
Il 13 settembre 2021 durante la Plenaria del Parlamento europeo si è discusso e votato il testo della Relazione Condizioni di lavoro dignitose, diritti e protezione sociale per i lavoratori delle piattaforme – Nuove forme di occupazione connesse allo sviluppo digitale. Sto parlando di un testo dalla portata potenzialmente storica. Per la prima volta, dall’emergere del fenomeno della Gig Economy, l’Ue assume una posizione netta a difesa dei lavoratori delle piattaforme.
Il Movimento 5 Stelle ha contribuito in modo decisivo alla versione finale della risoluzione grazie a diciannove emendamenti tutti inclusi nei compromessi.
Le destre europee e italiane hanno detto no a un testo finalizzato a difendere dal dumping sociale e fiscale e dagli opachi algoritmi impiegati dalle multinazionali. Sottolineo però come la votazione finale si sia conclusa senza emendamenti.
Lavoratori delle piattaforme, l’Ue acceleri sulla direttiva
Nel testo della relazione emerge con chiarezza la richiesta del Parlamento europeo alla Commissione di intervenire con una proposta di direttiva. Viene espressamente rigettata la possibilità di individuare un “terzo status” per i lavoratori delle piattaforme. In aggiunta, in caso di controversie, prevarrà la presunzione di subordinazione con l’inversione dell’onere della prova per i datori di lavoro.
L’altra garanzia per i lavoratori arriva dalla richiesta di regolamentare le piattaforme che praticano il dumping nei confronti delle altre imprese. In particolar modo degli operatori tradizionali e PMI, non solo dal punto di vista concorrenziale e sociale, ma anche fiscale. In aggiunta a questo, si sottolinea con forza la necessità di una maggiore trasparenza e accessibilità dei meccanismi di funzionamento degli algoritmi.
Sono convinta che la transizione digitale debba mettere al centro l’uomo, non possiamo permettere che gli algoritmi siano al di sopra della legge e dei diritti dei lavoratori. Per questo l’Unione europea ha bisogno di uno strumento legislativo, una direttiva appunto, che regolamenti questa forma di lavoro che oggi in tutti i Paesi europei è tutelata esclusivamente dalle sentenze dei Tribunali. L’ultima pronuncia è arrivata dall’Olanda. Come i giudici inglesi, oramai due anni fa, anche quelli olandesi hanno chiesto alla multinazionale Uber di riconoscere i lavoratori come propri dipendenti. Di riconoscere loro un vincolo di subordinazione che come tale offre maggiori garanzie e tutele. Lo stesso è avvenuto in Italia.
Il terreno è pronto. Abbiamo bisogno di norme comuni per dare seguito a un importante cambiamento e per contrastare la concorrenza sleale tra gli Stati membri e tra i lavoratori. La direttiva sui lavoratori delle piattaforme, assieme a quelle sul diritto alla disconnessione e al salario minimo, rappresenta l’ “architrave” per una ripresa equa e sostenibile.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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