La proposta di revisione del Sistema delle Indicazioni Geografiche presentata lo scorso 31 marzo dalla Commissione europea rischia di mettere in pericolo l’agroalimentare d’eccellenza italiano ed europeo.
Fin da subito ho detto chiaramente che si tratta di modifiche irricevibili e scandalose che indeboliscono enormemente il sistema di tutela di DOC, DOP e IGP, grazie al quale è stato possibile creare e proteggere filiere di qualità riconosciute in tutto il mondo. Il tutto per avvantaggiare ancora una volta, ed in maniera vergognosa, le multinazionali e più in generale l’industria del settore.
Semplificazione non significa più prodotti di qualità
Sono diversi i punti della proposta che ritengo controversi e sui quali darò certamente battaglia durante la discussione al Parlamento europeo.
Nell’idea della Commissione, il processo di registrazione delle Indicazioni Geografiche dovrà essere semplificato e armonizzato. Questo dovrebbe tradursi in un tempo più breve per le presentazioni delle domande di registrazione e aumentare l’attrattività per i produttori.
Gli Stati membri resteranno responsabili dell’applicazione dei disciplinari a livello nazionale. Mentre la Commissione avrà il compito di registrare, modificare e cancellare le Indicazioni Geografiche. Operazioni per le quali avrà il supporto dell’Ufficio Europeo per la Proprietà Intellettuale (EUIPO). Che sono convinta sia sprovvisto della competenza necessaria in campo agroalimentare.
Il rischio che si corre, di fatto, è quello di svincolare le Indicazioni Geografiche dalla logica del prodotto agricolo, frutto di un territorio, del suo ambiente e del saper fare dei suoi abitanti. E ridurre il tutto ad una logica banalmente commerciale.
A mio avviso, il Commissario all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, sbaglia profondamente nel pensare che in questo modo i prodotti agroalimentari europei saranno più protetti. L’eccessiva genericità e semplicità delle procedure di registrazione finiranno per svilire e banalizzare il ruolo economico e commerciale delle IG che vale circa 75 miliardi di euro.
Contraffazione e “sounding” restano senza soluzione
Un altro aspetto che da subito ho considerato estremamente grave è che la proposta di modifica non affronta in maniera decisa problemi annosi per l’Italia.
Non vi è infatti nessun riferimento a come si intendano contrastare i subdoli tentativi di imitazione dei prodotti a denominazione di origine protetta o il fenomeno del “sounding”. Una vera e propria minaccia costante per l’economia del settore del nostro Paese. Nel corso degli ultimi 10 anni il valore del falso made in Italy è cresciuto del 70%, a causa di un utilizzo improprio di parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia in prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale.
Il caso del Prosek e dell’aceto balsamico di Modena
Ricorderete certamente la battaglia contro il Prosek croato, un marchio di prosecco che nulla a che fare con quello italiano. Nella risposta alla interrogazione parlamentare che ho sottoscritto, il Commissario ha dichiarato che l’apertura al “Prosek” non danneggia affatto i prodotti a denominazione di origine protetta o controllata. Ma la battaglia è tutt’altro che chiusa e l’Italia ha prontamente presentato ricorso per chiedere il rifiuto della registrazione del “Prosek” per il chiaro rischio di evocazione e confusione nel consumatore.
Un altro esempio è dato dalla vicenda dell’aceto balsamico di Modena, messo a rischio da un colpo di mano della Slovenia. Attraverso una norma nazionale, il Governo di Lubiana ha cercato di aggirare il sistema di tutela delle Dop e Igp, anche se la legge era in netto contrasto con gli standard comunitari e con il principio di armonizzazione del diritto europeo.
La Slovenia ha tentato di trasformare la denominazione “aceto balsamico” in un prodotto standardizzato. Una operazione illegittima, contro i regolamenti comunitari che disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore.
Casi come questi ci devono far riflettere su un aspetto che ritengo fondamentale: se l’UE per prima non si impegna a difendere le sue eccellenze nel mercato interno, non ci sarà alcuni spazio politico ed economico per pretendere reciprocità nel rispetto degli standard con gli stati terzi. Non avremo quindi alcuno strumento efficace per chiedere il contrasto delle varie forme di sounding.
Agroalimentare italiano, un patrimonio da proteggere
E potrebbero essere solo l’inizio. L’eccessiva semplificazione delle procedure IG lascerà molto spazio ai tentativi di annacquare l’unicità dei prodotti di qualità DOP, IGP e DOC.
Senza contare il pericolo di generare confusione nel consumatore. All’atto dell’acquisto, non ci sarebbe modo di sapere con certezza se il prodotto rispetta realmente i rigidi disciplinari per ricevere il riconoscimento di qualità.
La revisione dei sistemi di Identificazione Geografica non tiene affatto conto delle differenze tra i Paesi dell’Unione europea. La maggior parte degli Stati membri conta solo qualche decina di prodotti IG registrati, mentre solo pochissimi ne possono vantare centinaia.
Tra questi c’è l’Italia il cui patrimonio di prodotti agroalimentare d’origine protetta consiste in 841 prodotti riconosciuti, tra agroalimentare e vino. Un vero e proprio tesoro, frutto del legame indissolubile con i territori, la natura e i nostri agricoltori.
Prezzi equi e tutela dei consorzi
Per valorizzare al massimo il lavoro di tutti gli agricoltori che investono nel meccanismo delle certificazioni del prodotto, è necessario agire in duplice direzione.
Da un lato garantire loro un ritorno economico che sia adeguato all’impegno intrapreso. E per questa ragione è importante che i prodotti siano venduti ad un prezzo equo sul mercato.
Dall’altro, è fondamentale continuare a tutelare il ruolo dei consorzi, motore dello sviluppo delle eccellenze, e della protezione delle denominazioni.
Non possiamo quindi che opporci a questo nuovo tentativo di deregolamentare il settore. Che danneggia qualità, reputazione, ricchezza e peculiarità dell’agroalimentare italiano per favorire i prodotti industriali.
Se l’Unione europea vuole davvero intraprendere la strada dell’autosufficienza alimentare, anche alla luce dell’impatto del conflitto tra Russia e Ucraina, deve agire per difendere il più possibile i suoi marchi e le sue eccellenze. E non per distruggerli.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
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