Nello scorso mese di aprile, la Commissione europea ha adottato una proposta di revisione del sistema delle indicazioni geografiche (IG) per i vini, le bevande alcoliche e i prodotti agricoli.
Secondo la visione della Commissione, l’obiettivo della riforma sarebbe quello di “aumentare la diffusione delle indicazioni geografiche nell’Unione europea a beneficio dell’economia rurale, aumentandone la protezione, in particolare online”.
A rischio il Made in Italy
Studiando la proposta di revisione della Commissione europea ho sollevato subito alcune critiche, perché sono convinta che rappresenti una minaccia per tantissime produzioni d’eccellenza del nostro made in Italy agroalimentare.
Temo infatti che l’eccessiva semplificazione del processo di registrazione delle IG, voluta dalla Commissione europea rischi di indebolire un sistema che, in questi anni, ha determinato risultati importanti in termini di protezione dei prodotti tipici italiani e non nel mercato Ue ed extra-Ue e che ad oggi conta 3.458 marchi, di cui 1.624 per i vini, 1.576 per i prodotti alimentari e agroalimentari e 258 per le bevande alcoliche.
Secondo calcoli recenti, il valore delle vendite di un prodotto a marchio protetto è in media il doppio di quello di prodotti simili privi di certificazione.
Nel complesso, le vendite annuali dei prodotti con indicazione geografica valgono 74,76 miliardi di euro all’anno, di cui oltre un quinto dipende dalle esportazioni al di fuori dell’Unione europea. A dimostrazione del fatto che il sistema delle indicazioni geografiche funziona e non c’è ragione o evidenza alcuna che giustifichino la necessità di un cambiamento radicale come quello proposto dalla Commissione europea.
Le mie richieste alla Commissione
Sulla proposta di semplificazione delle procedure di certificazione dei prodotti, sono convinta che il Commissario all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, sia totalmente fuori strada.
L’eccessiva genericità e facilità con le quali la Commissione europea propone di definire le procedure di certificazione delle indicazioni geografiche, infatti, finirà per svilire e peggio ancora banalizzare il peso economico e commerciale delle IG. Nonché il ruolo essenziale svolto dai produttori che lavorano nel rispetto delle tradizioni, tramandandole, e delle peculiarità dei territori in cui operano.
Le mie proposte per migliorare la revisione delle IG nascono da questa fondamentale premessa.
Rafforzare il ruolo dei consorzi
E allora proprio con l’obiettivo di salvaguardare e rafforzare il sistema delle IG, ho proposto di mettere al centro i produttori e gli agricoltori dai quali dipende la qualità del cibo made in Italy. Così mentre la Commissione europea tenta di de-strutturare i consorzi, ho chiesto invece che vengano rafforzati.
Questo perché i consorzi rappresentano i motori di sviluppo delle IG e devono restare in mano ai produttori. Ma c’è anche un’altra prospettiva che mi trova d’accordo, purché ripeto gli agricoltori italiani restino i protagonisti delle nostre filiere agroalimentari. Quella dei cosiddetti comitati di filiera, come organi delle associazioni dei produttori di determinati marchi made in Italy.
Tracciabilità delle indicazioni geografiche a tutela del consumatore
Tra le altre proposte presentate la settimana scorsa in Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale, c’è anche l’introduzione del concetto di tracciabilità del prodotto, un aspetto questo che non fa parte delle IG ma che ritengo invece fondamentale inserire nella proposta di revisione, apportando in questo modo un elemento di tutela in più dei nostri prodotti certificati.
Ritengo infatti che i consumatori debbano ricevere informazioni affidabili e dettagliate a garanzia dell’autenticità dei prodotti che acquistano e portano in tavola.
Devono quindi essere messi nelle condizioni di identificarli facilmente sul mercato, anche nel caso dell’e-commerce. Per rafforzare il sistema delle indicazioni geografiche attuale è fondamentale combattere capillarmente contraffazioni, truffe, imitazioni e contrastare il subdolo fenomeno delle evocazioni che più di ogni altro reato stanno sottraendo ogni anno miliardi di euro di fatturato al nostro made in Italy agroalimentare.
Gli ultimi dati disponibili ci dicono che in 10 anni il valore del falso made in Italy è cresciuto del 70% a causa di un utilizzo improprio di parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia in prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale.
Ho trovato molto grave che nella proposta di modifica della Commissione non vi è alcun meccanismo o strumento per contrastare imitazioni, contraffazioni, truffe ma soprattutto come arginare il crescente fenomeno dell’Italian Sounding contro cui agricoltori e produttori non possono difendersi adeguatamente.
La normativa europea non definisce il sounding come reato autonomo e specifico. Nella sostanza, quindi, il made in Italy non ha strumenti giuridici chiari, certi e rapidi per prevenire e/o bloccare danni economici e d’immagine dei marchi certificati colpiti.
Indicazioni geografiche: sounding colmare subito il vuoto normativo
E qui nasce un grande problema per il nostro made in Italy. Tra contraffazione ed evocazione c’è una profonda differenza. Eppure la Commissione europea tratta la evocazione come fosse una contraffazione. Rischiando di generare maggiore confusione ed incertezza normativa
Ho quindi deciso di presentare un emendamento con cui indirizzare la Commissione europea verso una distinzione netta tra contraffazione e evocazione, finalmente prevedendo una fattispecie giuridica per il sounding che non coincida in tutto o in parte a quella della contraffazione dal momento che si realizzano e hanno effetti economici e sui consumatori molto diversi.
La contraffazione di una indicazione geografica si realizza quando c’è un’azione fraudolenta sui prodotti o sulle loro confezioni che, pur non determinando un danno concreto o immediato per la salute pubblica, promuovono profitti illeciti a danno del consumatore.
Dopo i casi eclatanti del Prosèk o dell’Aceto Balsamico di Modena non possiamo più permettere che, in primo luogo, nel mercato interno europeo proliferi il sounding, lasciando le controversie e la tutela dei produttori colpiti nelle sole mani della Corte di Giustizia Europa, quindi, della Giurisprudenza europea. Sono convinta che sia insufficiente una definizione caso per caso dei casi di sounding. A maggior ragione quando il sounding è fortissima crescita nei paesi terzi, verso cui per il made in Italy è fondamentale continuare ad esportare in totale sicurezza.
La maggior parte dei casi di evocazione e sounding vengono scoperti troppo tardi, proprio quando queste azioni illegali provengono da paesi extra Ue ed è per questo motivo che l’Unione europea deve dotarsi urgentemente di una normativa adeguata da far valere anche e soprattutto negli accordi commerciali.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.