Il salario minimo è una necessità. Nuovo record di lavoratori poveri

salario minimo

Il numero di lavoratori poveri in Italia ha raggiunto livelli record. Circa un quarto degli occupati ha un reddito individuale basso, mentre un lavoratore su dieci si trova in una condizione di povertà.

A mettere nero su bianco la fotografia piuttosto allarmante del nostro Paese è il Rapporto presentato recentemente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Lo studio è stato realizzato dal Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia.

L’inflazione cresce e i salari sono sempre più bassi

I dati diffusi da questo documento ci dicono che nel nostro Paese il 24,8% dei lavoratori e delle lavoratrici percepisce un salario molto basso che li espone alla povertà relativa. La percentuale è di gran lunga peggiore di quella resa nota da Eurostat, secondo cui in Italia è l’11,8% sul totale della forza lavoro a essere sottopagato.

Su questi numeri, aleggiano anche il rischio di effetti negativi causati dal rialzo generale dei prezzi e dal caro bollette, due aspetti peraltro strettamente collegati. Sono già 3 milioni gli italiani che hanno perso reddito e potere d’acquisto. La cosiddetta spirale inflattiva riguarda tutta l’Europa e rischia di impattare ulteriormente proprio sul livello dei salari.

Andrea Garnero, economista OCSE, ha lavorato allo studio del Ministero e, in un’intervista su Avvenire ha affermato chiaramente che l’introduzione del salario minimo in Italia è una misura necessaria e non più rinviabile.

Bisogna trovare un metodo, come ha sottolineato lo stesso Garnero. Io dico che possiamo seguire la strada tracciata dalla direttiva europea.

Salario minimo, una soluzione necessaria

Le affermazioni di Garnero mi trovano pienamente d’accordo. Non solo perché ammette l’adozione del salario minimo tra le soluzioni proposte nello studio ma anche perché riconosce finalmente che questa misura è un’arma contro gli squilibri dell’attuale modello di economia di mercato.

Parliamo prima di tutto della leva rappresentata dalle differenze salariali tra i Paesi membri, leva sfruttata dalle multinazionali che alimentano concorrenza sleale e delocalizzazioni di tipo predatorio, giustificate solo dalla cinica logica del profitto. Da questo punto di vista sottolineo che la direttiva salario minimo va a beneficio delle imprese italiane che competono lealmente nel mercato interno.

L’economia dei “lavoretti” e i contratti “pirata”

La precarietà e la povertà dei lavoratori italiani ed europei si possono combattere anche mettendo un argine all’occupazione a termine – tipica ad esempio della gig economy di cui in Europa c’è stato un vero e proprio boom a causa della pandemia – e ai contratti “pirata”.

La Fondazione Di Vittorio ha calcolato i contratti nazionali collettivi registrati allo CNEL. Dal 2012 al 2021, il loro numero è aumentato del 100 per cento.

Un fenomeno spaventoso, perché gruppi sindacali poco rappresentativi e “compiacenti” con i datori di lavoro o le aziende hanno spinto i salari verso il basso, fagocitando spazio alla contrattazione collettiva sana portata avanti nell’interesse dei dipendenti.

Da tempo, poi, il mercato del lavoro italiano risente degli effetti negativi di altri fattori: pensiamo ad esempio che l’incertezza sulle carriere professionali immobilizza i lavoratori qualificati e i giovani laureati.

O, che ancora tra le donne, peggio se sono giovani e hanno figli molto piccoli, è esploso il lavoro part-time involontario. Una condizione che si ripercuote pesantemente sulla qualità della loro vita.

Per le donne, i giovani e più in generale per i lavoratori e le lavoratrici l’unica via di uscita oggi è la garanzia di un salario minimo.

Una parte del mercato del lavoro è già cambiato; un’altra invece si sta trasformando sotto i nostri occhi.

Contano anche le esigenze dei lavoratori, soprattutto, dei giovani. Sono convinta che una buona politica occupazionale debba garantire le migliori opportunità ai cittadini e alle cittadine per conciliare la vita con il lavoro.

Dobbiamo essere in grado di valutare forme di sostegno per i lavoratori più svantaggiati in funzione anche del nucleo familiare. Infine non dimentichiamo mai che lo Stato ha anche un compito redistributivo da assolvere.

Il tempo per interrogarsi è finito

Sul salario minimo, l’Italia ha soltanto due opzioni:

  • stabilire una retribuzione minima in base alla contrattazione collettiva;
  • introdurre il salario minimo per legge.

Le due vie sono da tempo oggetto di discussione e continuano a scontrarsi con ostacoli di natura politica e tecnica che bloccano la proposta di Legge presentata dal MoVimento Cinque Stelle al Parlamento.

Eppure, l’aumento dei lavoratori poveri è un fenomeno chiaro, che vi ho raccontato tante volte utilizzando dati e fatti. Il salario minimo non può essere ancora visto come una opportunità.

Oggi è una necessità. Si acceleri allora. La politica scelga, finalmente.

Troviamo un accordo il prima possibile con le altre forze di maggioranza per aumentare i salari rosicchiati sempre più da inflazione alle stelle e caro bolletta.

L’Europa farà certamente la sua parte, i negoziati tra Parlamento europeo, Commissione e Consiglio sulla direttiva salario minimo sono già iniziati e puntiamo a una approvazione definitiva del testo entro giugno.

Il nostro Paese può anche valutare l’introduzione del salario minimo nei settori economici più soggetti alla precarietà: alberghiero, turismo e ristorazione, ma anche commercio, costruzioni e agricoltura.

Tutti settori in cui l’occupazione a termine o intermittente è diventata predominante.

Guardiamo ai modelli che hanno funzionato.

Negli Stati Uniti, per esempio, questo tipo di metodo ha già prodotto importanti risultati. Gli stessi su cui poi l’economista David Card ha condotto i suoi studi che, come abbiamo raccontato in questa newsletter nei mesi scorsi, gli hanno valso il Premio Nobel.

Abbiamo bisogno del salario minimo per crescere, chiudiamo una volta per tutte la stagione delle promesse e passiamo ai fatti.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.