Il lavoratore al centro, nuovo modello industriale

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Garantire democrazia e partecipazione del lavoratore all’interno delle aziende, sono convinta rappresenti un passaggio essenziale per la piena attuazione della dimensione sociale del mercato unico europeo.

 

I COMITATI AZIENDALI EUROPEI, IL LAVORATORE AL CENTRO

La relazione del Parlamento europeo sulla revisione della direttiva CAE – Comitati Aziendali Europei – che abbiamo votato questa settimana in occasione della mini Plenaria di Bruxelles ha l’obiettivo primario di rimettere al centro dell’organizzazione e delle decisioni aziendali il lavoratore. La prospettiva di rafforzare finalmente i comitati aziendali europei rappresenta per me uno dei principali caposaldo per costruire un nuovo modello di relazioni industriali, nel mercato unico europeo, più equo, più inclusivo e basato sull’ascolto e il coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici, soprattutto, nelle realtà imprenditoriali di grandi dimensioni: gruppi di società e multinazionali che operano in due o più Stati membri dell’Unione europea.

Come ho sottolineato più volte, i CAE, strumento non nuovo ma ancora poco noto, sono fondamentali per evitare situazioni in cui i dipendenti vengano messi davanti al fatto compiuto, cioè a scelte aziendali che li riguardano direttamente – il caso dei licenziamenti collettivi, ma anche di operazioni di fusione, scissione, acquisizione etc– che danneggiano intere comunità e territori con conseguenze socio-economiche anche molto negative.

La mia stessa esperienza professionale mi ha permesso di comprendere molto bene cosa significhi per un dipendente essere coinvolto nelle decisioni del manager. Far sentire il lavoratore parte del progetto, ne aumenta le motivazioni e la fiducia. E rappresenta la spinta verso una crescita della produttività.

METTERE IL LAVORATORE AL CENTRO FA BENE ANCHE ALLE IMPRESE

Se le imprese riusciranno a cogliere i benefici derivanti da una maggiore partecipazione, informazione e consultazione dei lavoratori nelle decisioni aziendali, vedendola non come un obbligo giuridico o un costo, bensì come una opportunità di affermazione nell’economia nazionale e transnazionale, saranno in grado di affrontare le sfide del mercato con maggiore flessibilità e resilienza. Così facendo, sono convinta che le imprese possono creare occupazione di qualità, un miglior il clima aziendale, migliorare la produttività e valorizzare al meglio il capitale umano.

Ritengo che le crisi attuali che pesano moltissimo sui lavoratori e le lavoratrici debbano essere il punto di partenza per ripensare e costruire un modello economico e aziendale che ruoti attorno alla persona e non il contrario. Fare attenzione all’individuo e al suo benessere è fondamentale per combattere il lavoro povero, la precarietà, garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici a 360° sia sul piano fisico sia su quello mentale e aumentare la produttività e l’occupazione di qualità. Sono convinta che sia giunto il tempo di cambiare prospettiva: partecipazione e benessere individuale nelle aziende non sono degli ostacoli ma bensì opportunità.

Credo nella dimensione sociale di mercato. Credo nella dimensione sociale del fare impresa. Il lavoro del Parlamento europeo, ovverosia di rafforzare i comitati aziendali europei, punta a creare e garantire nelle multinazionali e nei gruppi d’impresa presidi di democrazia, diritti e buone pratiche. L’essere umano non può più essere sacrificato in nome del profitto, come sempre più spesso accade. Ecco, qui, io credo c’è uno dei semi per far germogliare e far crescere la responsabilità sociale d’impresa.

LO STATUTO DELLA PERSONA E UN MODELLO ETICO DI IMPRESA

Dunque, partecipazione, benessere e sostenibilità: la crescita e lo sviluppo industriale ed economico dell’Italia e dell’Unione europea che devono ora gestire le enormi transizioni ecologica e tecnologica dipendono da questi tre fondamentali elementi. Puntare alla competitività sana, all’occupazione di qualità e al benessere del lavoratore e dell’impresa non è una meta irraggiungibile. Ci sono grandi società che hanno iniziato a sperimentare nuovi modelli di organizzazione del lavoro, ispirati a dei veri e propri Statuti della persona per una imprenditorialità etica.

Per le aziende, scegliere di mettere al centro il lavoratore significa volere favorire la conoscenza e l’apprendimento continuo, elementi su cui di fatto si basano le nostre economie e le nostre società. Quindi sì a percorsi di formazione, empowerment femminile volto a favorire la scelta di discipline STEM e l’apertura a contributi formativi esterni. Inoltre, sì ad un modello che rimetta al centro la cultura della sicurezza, che non può prescindere dall’analisi rischio-infortunio, dall’utilizzo delle tecnologie per la prevenzione degli incidenti e da investimenti cospicui per informare, formare e responsabilizzare i lavoratori e le lavoratrici.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.