Le leggi e la giurisprudenza – nazionali ed europee – sanciscono la parità retributiva tra uomo e donna. Sul piano teorico, quindi, la discriminazione salariale di genere nel lavoro formalmente non dovrebbe esistere. Invece continua ad essere una delle forme di diseguaglianza sociale più diffusa e aberrante che impedisce alle donne di partecipare pienamente alla crescita economica e sociale del proprio Paese.
Le donne in Europa sono meno presenti nel mercato del lavoro rispetto agli uomini. Il divario di genere occupazionale è pari all’11%, con il 68,2% delle donne occupate a fronte del 79,2% degli uomini.
A livello salariale, le donne guadagnano il 16 % in meno dei colleghi uomini: una percentuale che è variata pochissimo nel corso dell’ultimo decennio.
Una delle ragioni per le quali le donne percepiscono salari più bassi è che, per riuscire a conciliare lavoro e vita familiare, in tante scelgono modalità di lavoro part-time (il 31,3% delle donne in EU vs l’8,7% degli uomini).
Molti sono inoltre gli ostacoli che impediscono alle donne di frantumare il cosiddetto soffitto di cristallo che le separa dal raggiungere posizioni gerarchicamente rilevanti nell’organigramma aziendale. In Europa, solo il 10% dei CEO di grandi aziende sono donne e anche quando si riesce ad occupare una posizione manageriale rilevante, le donne guadagnano il 23% in meno degli uomini.
Solo l’Italia, negli ultimi anni, è riuscita a raggiungere risultati migliori della media Ue. Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, il nostro Paese ha fatto grandi passi avanti in tema di presenza femminile nei Cda, raggiungendo il 36,3, contro la media europea che è ferma al 31%. La riluttanza a nominare donne nei consigli di amministrazione trova le sue radici negli stereotipi e nei pregiudizi di genere quando si tratta di assunzioni e promozioni. Un insieme di elementi che pregiudicano il mercato del lavoro nell’Ue contro il quale bisogna agire per invertire presto la rotta.
Cosa può fare l’Europa? I dati mostrano che le donne, tra casa e impiego, lavorano in media molte più ore degli uomini, ma la maggior parte di queste non sono pagate. Questo produce conseguenze rilevanti sulle carriere personali delle donne. L’Europa può agire al fine di promuovere una più equa distribuzione dei congedi parentali, un’adeguata presenza di servizi pubblici per l’infanzia e policy aziendali che facilitino la flessibilità degli orari di lavoro. Sarebbe auspicabile, inoltre, prevedere è un sistema armonizzato di sanzioni che punisca chi viola palesemente il diritto alla parità retributiva e chi sfrutta in modo deliberato il lavoro femminile a danno della giustizia e della coesione sociale.