Def, il governo Meloni si nasconde all’ombra dell’Europa

Def

Il documento di economia e finanza (Def) è un tassello importante per comprendere la direzione imboccata da un governo nell’interesse del Paese.

I documenti di finanza pubblica contengono le politiche economiche e finanziarie decise dal Governo. Nel corso degli ultimi decenni i documenti programmatici hanno assunto sempre di più un ruolo chiave nella definizione ed esposizione delle linee guida di politica economica del Paese. In una economia caratterizzata da continui e rapidi cambiamenti, essi svolgono una delicata e importante funzione informativa a livello nazionale, comunitario e internazionale, in grado di rendere pienamente visibili le scelte di policy. L’elaborazione dei documenti programmatici implica un processo lungo e articolato che vede partecipi tutti i Dipartimenti del MEF.

Ministero dell’Economia e delle Finanze

Lo è altrettanto la nota di aggiustamento al documento di economia e finanza (o Nadef) che, generalmente, viene pubblicata alla fine di settembre, anticipando la Legge di Bilancio.

Nei giorni appena trascorsi, il Consiglio dei ministri e poi il Parlamento hanno approvato il Def 2024 senza il quadro programmatico ovverosia l’indicazione delle misure economiche e finanziare che l’esecutivo intende adottare e/o confermare nei prossimi anni – in attesa delle linee guida della Commissione europea al nuovo Patto di Stabilità e Crescita che, come anticipato da Bruxelles, verranno rese note agli Stati membri solo dopo il rinnovo del Parlamento europeo.

Per il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, l’approvazione “in fretta e furia” del Def 2024 senza il quadro programmatico si è reso necessario, anche perché lo hanno fatto anche altri Stati europei. Vi convince? A noi, no.

UN GOVERNO SENZA UNA VISIONE DI FUTURO DEL PAESE

Sono convinta, infatti, che in questa fase sia fondamentale spiegare ai cittadini e alle cittadine come dietro questa scelta del governo di Giorgia Meloni di fatto ci sia solo l’incapacità di elaborare una visione di futuro dell’Italia e, logicamente, una precisa strategia politico-elettorale. Lo sostengo con forza e convinzione.

Ad esempio: per chi come me si occupa da sempre di lavoro e occupazione, è facile intuire che i conti non tornano. Nella Legge di Bilancio 2024, il governo Meloni ha inserito tutta una serie di misure spot, elettoralmente appetibili, certo, ma con le quali è chiaro che è impossibile costruire e garantire una prospettiva di sviluppo del Paese. Motivo per cui la scelta di presentare un Def scarno – un guscio vuoto – a mio avviso deve preoccupare tutti e tutte.

MISURE INUTILI E COSTOSE

Le misure economiche fin qui adottate dal governo Meloni sono state inutili, dispendiose e non hanno portato alcun reale beneficio al Paese.

La mini flat tax applicata ai redditi fino a 85mila euro all’anno è uno strumento fiscale che alimenta le sperequazioni e l’ingiustizia sociale, agevola fenomeni come l’elusione e genera iniquità tra i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi, mentre ci sono ancora una serie di problemi irrisolti ai quali il governo di Giorgia Meloni ha scelto di non dare una risposta.

L’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, operazione costata quattro miliardi di euro allo Stato, che necessariamente, sarà una tantum, in sostanza, non ha agevolato i lavoratori e le lavoratrici dipendenti con redditi medio bassi. L’effetto infatti sarà posticipare di un anno il pagamento delle tasse dovute, con sconti insignificanti nel 2024, di cui – paradosso dei paradossi – beneficeranno esclusivamente i contribuenti che si avvicinano allo scaglione di reddito più elevato (circa 33mila euro all’anno). Effetto distorsivo e iniquo che non può essere neppure compensato togliendo il diritto alle detrazioni.

Il taglio al cuneo fiscale, auspicabile e necessario, se elaborato in modo strutturale e organico e non una tantum, è l’ennesima operazione che ha un costo pubblico enorme e che comunque da solo non è adatto a risolvere il problema dei salari bassi e stagnanti. Ricorderete che il governo Meloni ha fatto di tutto per bloccare la discussione sul salario minimo, opponendosi finanche all’attuazione della Direttiva sui salari minimi adeguati.

COSA MANCA?

Se ci soffermiamo solo sul lavoro e l’occupazione, notiamo che mancano all’appello totalmente politiche attive per il lavoro. Nulla per combattere l’elevata disoccupazione giovanile, nulla contro la dilagante povertà lavorativa e la crescente precarietà dei posti di lavoro che più penalizzano le donne e i nostri ragazzi e ragazze.

Le agevolazioni alle assunzioni, inserite dal governo Meloni nella Legge di Bilancio, da tanti anni ormai è dimostrato che da sole non sono sufficienti, assumendo perciò la funzione di sussidio contro cui la Premier si è tante volte scagliata, quando era all’opposizione.

E sul Pnrr? Tutto tace. 150 miliardi di euro aspettano ancora di essere investiti, intrappolati in progetti fantasma e cantieri mai avviati.

LE ELEZIONI EUROPEE E LA CARTA NASCOSTA DEL GOVERNO

Il governo Meloni sta nascondendo tutta una serie di conti che non tornano (e come potrebbero!), levando come scudo l’Unione europea. Anche se, è difficile nascondere innumerevoli contraddizioni emerse in soli due anni di governo del Paese.

È vero che anche altri Paesi europei (10 su 27 Stati membri) hanno chiesto e ottenuto dalla Commissione europea l’ok per presentare un documento di economia e finanza privo del quadro programmatico, ma nel caso del governo Meloni sembra quasi che si voglia trincerare dietro la scusa di uno studente impreparato che si giustifica dicendo “inutile studiare adesso se poi a settembre cambieranno i libri di testo”.

La strategia politica del governo Meloni, invece, è sfruttare l’assenza delle linee guida sulla nuova governance economica europea – tecnicamente infatti non si conoscono ancora i meccanismi di rientro dal debito pubblico che l’Europa chiederà all’Italia – per immaginare di potere condurre in piena libertà le trattative autunnali con l’Europa, dopo le elezioni, specialmente se i sovranisti dovessero acquistare consenso e forza al Parlamento europeo, potendo esprimere poi una Commissione europea accondiscendente.

PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA, IL COMPROMESSO

Quando la Commissione europea, grazie anche al Commissario all’Economia Paolo Gentiloni, ha presentato la sua proposta di revisione del Patto di Stabilità e Crescita con l’avvicinarsi della scadenza della sospensione della clausola di salvaguardia, ho subito detto che mi sarei aspettata un risultato più ambizioso (mi riferisco in particolare allo scorporo degli investimenti verdi e sociali dal calcolo del deficit/Pil) ma il risultato raggiunto è sicuramente il migliore possibile.

La proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita della Commissione europea è partita dalla premessa che la crescita dei paesi membri restasse sostenibile mantenendo perciò l’impegno di tenere sotto controllo i debiti pubblici ma garantendo, rispetto alle vecchie regole, una maggiore flessibilità ai governi nazionali.

In base alle nuove linee quindi l’Italia ha a disposizione sette anni per rientrare dal deficit eccessivo avendo in mano risorse economiche di cui negli anni passati non disponeva, quelle del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che sono in parte a fondo perduto.

Tutto dipenderà da come il governo Meloni spenderà i soldi del PNRR entro il 2027 e gestirà le prossime manovre economiche. Quello che sappiamo, per il momento, è che il governo Meloni che non doveva votare la riforma del nuovo Patto di Stabilità, ma alla fine l’ha votata, sperando così di potere chiedere e ottenere con maggiore facilità deroghe su deroghe all’attuazione del Pnrr.

DEBITO PUBBLICO IN AUMENTO CONTINUO

Difficile, se non impossibile immaginare come si possano reperire nuovamente circa 15 miliardi di euro quando il governo Meloni in nome di misure considerate “espansive” ma che hanno prodotto ben poco per lo sviluppo del Paese, senza fare extra deficit.

Allo stesso tempo, le notizie sul debito pubblico sono allarmanti. Secondo le ultime rilevazioni di Bankitalia, il debito pubblico a febbraio ha raggiunto 2.874,4 miliardi di euro, con un aumento di 22,9 miliardi rispetto a gennaio.

In pratica, è come se su ogni italiano, neonati compresi, pesasse un debito di circa 48mila euro.

La difficoltà di riuscire a ridurlo è stata messa nero su bianco dallo stesso governo, al punto che nel tendenziale (cioè a legislatura vigente) esso è previsto in aumento per il 2025 quando raggiungerà il 138,9% del PIL, rispetto al 137,8% stimato per quest’anno. E, intanto…