Sono orgogliosa di avere votato a favore della ratifica europea della Convenzione di Istanbul. L’Unione europea aderisce alle norme internazionali che difendono le donne dalla violenza domestica e dalla violazione dei diritti fondamentali. Da anni porto avanti il mio impegno civile e politico al fianco delle donne, soprattutto, per garantire loro parità salariale, parità di accesso al mercato del lavoro e opportunità di carriera professionale in Italia e in Europa.
Certo, non tutti i problemi delle donne riguardano il mondo del lavoro. Sono convinta infatti che i fattori culturali e ideologici concorrono a rendere in salita il realizzarsi della emancipazione femminile. Dopo sei anni, l’Unione europea aderisce alla Convenzione d’Istanbul, anche se purtroppo, non senza distinguo tra i paesi membri, segno che non tutte le donne beneficiano degli stessi diritti e delle stesse libertà in Europa.
Il voto del Parlamento europeo quindi è una ottima notizia, ma lascia perplessi e amareggiati il no alla ratifica da parte di sei paesi dell’Unione: Bulgaria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Ungheria.
Ma soprattutto lascia senza parole l’astensione dei partiti della maggioranza di governo: Fratelli d’Italia e Lega. Le destre italiane si avvicinano così al modello di società propugnato dall’ungherese Viktor Orbàn: contrario all’aborto. Ossessionato dal gender, convinto che la donna sia solo uno strumento per procreare e che il loro posto si davanti al focolare…
Insomma un modello che schiaccia diritti e libertà fondamentali e soffoca le donne. La settimana che ha preceduto questo voto in Plenaria, pensate, sono stata a Cracovia per lavorare alla Carta europea dei diritti delle donne e chiederne al Parlamento europeo l’approvazione definitiva entro la scadenza di questa legislatura.
DALLA DESTRA ITALIANA SEGNALE PESSIMO
Immagino che vi siate chiesti perché due partiti di maggioranza dovrebbero astenersi sull’adesione alla Convenzione d’Istanbul, mentre al governo solidarizzano con le donne iraniane. O ancora mentre il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parla di emancipazione femminile agli stati generali della natalità.
Sono convinta che questa astensione sia funzionale a mettere nero su bianco che proteggere i diritti e le libertà delle donne non è una priorità. E che nello scacchiere europeo, l’Italia è al fianco dei paesi di Visegrad.
VIOLENZA SULLE DONNE: I DATI ITALIANI
Eppure uno dei cavalli di battaglia delle destre è la sicurezza. L’approccio per garantirla resta di tipo repressivo. Approccio che da solo non porterà mai a risultati soddisfacenti.
Anzi, il numero dei femminicidi e delle violenze domestiche nel nostro Paese non sono affatto diminuiti. Stando infatti proprio ai dati del Viminale, solo nei primi cinque mesi del 2023 sono stati registrati 124 omicidi, con 43 vittime donne, di cui 37 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 22 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.
Numeri davanti ai quali è assurdo e inaccettabile astenersi quando si vota per rafforzare la lotta ai femminicidi, alla violenza domestica e agli abusi sulle donne a livello europeo. Che senso ha ignorare norme internazionali, quali la Convezione d’Istanbul, nate per proteggere le donne. I motivi sembrano essere identitari e ideologici.
Peraltro, l’Italia, aveva già ratificato la Convenzione d’Istanbul nel 2013. Il che rende ancora più folle l’atteggiamento dei partiti di Meloni e Salvini.
L’IMPORTANZA DELLA CONVENZIONE DI ISTANBUL
La Convenzione d’Istanbul, approvata il 7 aprile del 2011 ed entrata in vigore nell’agosto del 2014, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che introduce regole chiare con l’obiettivo di «proteggere [le donne] contro ogni forma di violenza», tra cui le molestie sessuali, lo stalking e i matrimoni forzati.
La Convenzione propone una serie di interventi molto concreti per prevenire le discriminazioni di genere, per tutelare chi subisce abusi e per punire i colpevoli, tra le altre cose, diventando anche per molti governi un modello giuridico a cui guardare per sviluppare la propria legislazione in difesa delle donne.
Inoltre, individua le radici della violenza di genere nella disuguaglianza tra uomini e donne che dà luogo a iniquità di trattamento nella società. Dalla famiglia ai luoghi di lavoro, le donne sono spesso ingabbiate in ruoli che nel corso dei secoli hanno prodotto una serie di stereotipi, molti dei quali ancora molto difficili da estirpare figli di una cultura obsoleta e quindi sbagliata.
LE MIE BATTAGLIE PER LE DONNE AL PARLAMENTO UE
Sono convinta che la cultura sia il nodo principale su cui bisogna agire. Senza emancipazione, pari diritti sociali e civili e senza libertà la violenza sulle donne non si fermerà mai! Ed è proprio questa convinzione che muove da sempre il mio lavoro al Parlamento europeo in difesa dei diritti delle donne. Ricorderete senz’altro le mie battaglie e i tanti emendamenti presentati e approvati per una maggiore tutela delle donne lavoratrici.
Per la parità e la trasparenza salariale, ad esempio. Passo fondamentale per superare disuguaglianze, disparità e soprattutto povertà lavorativa in Italia e in Europa. Anche la direttiva sul salario minimo si colloca nella dimensione di una maggiore tutela delle donne in ambito lavorativo, dal momento che spesso svolgono mansioni in settori dove le tutele contrattuali sono scarse o assenti e i salari molto bassi.
Allo stesso modo mi sono impegnata perché fosse riconosciuta una dimensione di genere anche sul piano della salute e sicurezza sul lavoro, dal momento che le donne sono più vulnerabili all’esposizione a diversi tipi di sostanze nocive.
Ritengo essenziale assicurare che i progressi compiuti fino a oggi in termini di diritti ed emancipazione del ruolo della donna nella società vengano salvaguardati e protetti da politiche nazionali volte a soffocarli e indebolirli. L’Italia, ultima in Europa per occupazione femminile e nascite, deve capire che senza la piena partecipazione delle donne allo sviluppo del Paese è destinata a farsi solo del male.
Permettere alle donne di contribuire e di partecipare compiutamente allo sviluppo del nostro Paese e dell’Unione europea è fondamentale per ottenere maggiore benessere sociale ed economico, progresso e rafforzare così la democrazia. Al modello Orbàn o a quello polacco, dunque tipico dei paesi dominati dal sovranismo, dall’estremismo e dal nazionalismo spinto dico: “No, grazie!”.