Il mondo del lavoro sta cambiando in maniera radicale. La pandemia del Covid-19, con il lockdown e le misure di contenimento dei contagi, ha spinto l’economia nazionale ed europea ad accelerare come non mai sui processi di digitalizzazione.
E così, in poco tempo, il lavoro da remoto si è trasformato da possibilità per pochi a una necessità imprescindibile per molti.
Smart working, fenomeno in crescita…
I dati Eurostat parlano chiaro: se prima di marzo 2020 lavorava da casa solo il 5% dei lavoratori, dopo la pandemia la media Ue è arrivata al 12,4%.
In Italia, l’Osservatorio Smart working della School of Management del Politecnico di Milano ha evidenziato che nel 2019 il lavoro da remoto riguardava 570.000 persone.
In tempo di pandemia il numero è balzato a 6,58 milioni. Un terzo dei lavoratori dipendenti.
Sono convinta che con la fine della pandemia, il mondo del lavoro non potrà fare a meno dello smart working.
Lo stesso Osservatorio, infatti, prevede che 4,3 milioni di lavoratori continueranno a svolgere le loro mansioni da casa.
…ma non senza rischi
Lo smart working ha fatto cadere i vincoli spazio-temporali entro cui si svolge il lavoro di tipo tradizionale.
La cultura del “Working anytime, anywhere” – “Lavorare in qualunque momento e in qualunque luogo” – pur con gli indubbi vantaggi che se ne possono trarre, finisce inevitabilmente con l’influire negativamente sull’equilibrio tra lavoro e vita privata. Sulla salute fisica e mentale e sul benessere generale dell’individuo.
Secondo Eurofound chi svolge un’attività da remoto ha più probabilità di superare le 48 ore settimanali di lavoro e meno possibilità di avere accesso al riposo giornaliero di 11 ore.
Il 30% degli smart worker lavora anche nel fine settimana o fuori orario. Contro il 5% di chi va in ufficio.
Disconnessione, diritti fondamentali da estendere e da aggiornare ai tempi
Dinanzi a numeri così importanti l’Unione europea ha iniziato una riflessione sul diritto alla disconnessione.
Non si tratta in verità di un nuovo diritto sociale, piuttosto di un diritto sancito per la prima volta nel 1919 dalla Convenzione ILO.
L’orario di lavoro infatti è stato l’oggetto del primo standard internazionale del lavoro, e ha conservato nel tempo una rilevanza primaria.
Col mutare del contesto economico e dei modelli di organizzazione del lavoro negli ultimi decenni, tuttavia, il quadro normativo definito a livello internazionale finisce per essere messo in discussione.
Ritengo infatti che ci sia bisogno di una normativa ad hoc per salvaguardare le esigenze di tutti i lavoratori, comprese quindi quelle degli smart worker.
Non possiamo permettere che lo sviluppo dell’Europa digitale generi una ondata di nuovi squilibri e di nuove disuguaglianze.
La proposta del Parlamento Ue: serve una direttiva
Nel gennaio 2021 il Parlamento europeo ha definito il diritto alla disconnessione un diritto fondamentale invitando la Commissione europea a proporre una direttiva per regolare lo smart working. Si è trattato del primo, fondamentale, passo in avanti verso una tutela reale del lavoro da remoto.
Il Movimento 5 Stelle è stato tra i primi a chiedere che questo diritto fosse regolato da una direttiva. E abbiamo votato con convinzione contro l’emendamento che chiedeva di ritardare l’azione legislativa della Commissione di tre anni.
Solo accelerando su questo provvedimento potremo scongiurare la diffusione di nuove forme di sfruttamento ed evitare che gli Stati membri procedano in modo sparso e parcellizzato nel riconoscimento di questo diritto.
L’era della digitalizzazione non può affermarsi con la nascita di nuove forme di dumping tra paesi.
Dalla Commissione europea solo timidi segnali
Purtroppo dopo l’importante voto del gennaio 2021, Bruxelles non ha dato vita di fatto ad alcuna iniziativa concreta.
Nel gennaio 2022 infatti la Commissione UE si è limitata a pubblicare una Dichiarazione sui diritti digitali con rimanda genericamente al diritto alla disconnessione.
Nella dichiarazione, la Commissione afferma che:
“ogni persona ha diritto a condizioni di lavoro eque, giuste, sane e sicure. E a una protezione adeguata nell’ambiente digitale come nel luogo di lavoro fisico, indipendentemente dalla sua situazione occupazionale, dalle modalità o dalla durata dell’occupazione”.
L’Unione europea si assume la responsabilità di riconoscere a tutti gli smart worker il diritto di disconnettersi per conseguire un concreto equilibrio tra la vita professionale e quella privata.
Come è disciplinato nei Paesi UE il diritto alla disconnessione
Non esistendo al momento una normativa comunitaria specifica sul diritto alla disconnessione, la legislazione in materia varia notevolmente fra i diversi Stati membri.
Francia, Belgio, Portogallo, Spagna, Grecia e Slovacchia sono intervenute con testi legislativi specifici che affidano il diritto alla disconnessione ad accordi collettivi anche aziendali.
Qualche esempio.
- La Francia ha introdotto nel 2016 l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di disciplinare il diritto alla disconnessione nel contratto collettivo aziendale o in alternativa attraverso un regolamento concordato con i comitati aziendali o con i rappresentanti dei lavoratori. Senza però prevedere sanzioni in caso di violazione.
- La Spagna ha riconosciuto il diritto alla disconnessione nel 2018 e affida alla contrattazione collettiva la definizione degli strumenti per rendere effettivo tale diritto.
- La recente legge portoghese prevede il divieto per i datori di lavoro di contattare i dipendenti al di fuori dell’orario, il divieto di monitoraggio di lavoro a distanza. L’obbligo per le aziende di organizzare degli incontri in presenza per i dipendenti per limitare la possibile sensazione di isolamento degli smart worker. L’obbligo per le aziende di contribuire alle spese sostenute per il lavoro in remoto, come bollette di internet ed elettricità.
- L’ultimo paese ad essere intervenuto sullo smart working è il Belgio che il 1 febbraio 2022 ha reso effettiva una legge per regolare il diritto alla disconnessione nelle pubbliche amministrazioni. I dipendenti non dovranno più rispondere ad email e telefonate oltre l’orario di lavoro. Potranno quindi disconnettersi e rendersi irreperibili a meno che non ci siano motivi “eccezionali” per non farlo.
E l’Italia a che punto è?
Migliaia di aziende non hanno mai smesso di ricorrere al lavoro da remoto dall’inizio della pandemia.
Il settore pubblico italiano sta optando per una modalità ibrida, impensabile solo un decennio fa radicata com’era l’idea dello stereotipo del dipendente con il cartellino.
Tuttavia fino ad ora il nostro Paese si è limitato all’enunciazione di un principio e a introdurre dei Protocolli che lasciano lo smart working ancora agli accordi individuali e volontari.
La legge del 6 maggio 2021 n. 61 all’articolo 2 riconosce genericamente al lavoratore agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche.
Secondo quanto previsto dalla norma, inoltre, l’esercizio di questo diritto non può in alcun modo influire sul rapporto di lavoro e sulla retribuzione.
Ritengo quindi che non basti. Come non è sufficiente affidare ai Protocolli i rapporti di lavoro agile. Ciò condanna lo smart working a essere percepito e trattato come uno strumento emergenziale, quando invece sono convinta sia una grande opportunità per il nostro Paese.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.