Nella conferenza stampa del 4 gennaio scorso, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato in modo positivo l’aumento dell’occupazione e in particolare quella femminile, nel mese di novembre 2023, che è stato certificato dall’Istituto Nazionale di Statistica.
Ci chiediamo però se sia il caso di esultare come sta facendo il governo, lasciando al ministro del Turismo Santanché al Senato la libertà di affermare il falso, perché non è vero che le politiche di questo Esecutivo hanno avuto il merito di ridurre la disoccupazione. Ciò che preoccupa molto è la leggerezza con la quale la maggioranza parla di temi essenziali e fondamentali per i cittadini e le cittadine: il lavoro, i redditi, il potere d’acquisto, i mutui ovverosia la vita quotidiana e la progettualità per il futuro.
Sconfessiamo l’entusiasmo della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sull’andamento della occupazione femminile e anche il pressapochismo con cui il governo sta affrontando il problema del divario e della violenza di genere: la crescita registrata dall’Istat, infatti, equivale allo zero virgola, + 0,1% su base annua.
Le donne restano numerose tra gli inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, mentre il numero di quelle che hanno un posto di lavoro è ben al di sotto di quello degli uomini occupati e della media europea.
La questione femminile, quindi, è reale. Nella sostanza, c’è ancora tanto da fare per garantire la parità uomo-donna in Italia e la verità è che Meloni ha omesso di riconoscerlo in conferenza stampa. Il tema perciò non è se aumenta lievemente o meno la occupazione femminile. Ma la qualità del lavoro delle donne, ostacolo sociale ed economico enorme con cui deve fare i conti il nostro Paese.
IL LAVORO INVISIBILE DI ASSISTENZA E DI CURA
Durante il mandato al Parlamento europeo, non a caso, mi sono occupata molto della questione femminile. Ho seguito l’iter di approvazione della direttiva sulla trasparenza retributiva che sotto tanti aspetti è rivoluzionaria e utile per affrontare il divario salariale uomo-donna. Non solo. Come componente della Commissione Occupazione e Affari Sociali, ho lavorato anche sulla Strategia per l’assistenza e la cura, sviscerando limiti e lacune del lavoro domestico.
Fondamentale per il benessere umano e per l’economia, nella maggioranza dei casi e dei paesi europei, rimane invisibile e non riconosciuto, ma soprattutto, caratterizzato da un forte divario di genere penalizzante per le donne che devono vedersela ancora oggi con gli stereotipi e di conseguenza la segregazione orizzontale. Le donne sono ancora eccessivamente legate a determinati ambiti, settori e ruoli sociali in cui il lavoro svolto è generalmente sottopagato e/o non remunerato.
Ci piacerebbe credere che il lavoro gratuito delle donne sia una questione privata, una scelta personale, a vantaggio dei familiari. Purtroppo non è così: l’intera società dipende dal lavoro sottopagato e/o non retribuito delle donne e da quel lavoro trae beneficio.
DATI PENALIZZANTI PER LE DONNE
Secondo il rapporto Care work and care jobs for the future of Decent work dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a livello mondiale, i servizi di assistenza e di cura sono nella maggioranza dei casi non retribuiti. Sono 179 milioni le ore giornaliere spese in questi compiti. Ciò equivale a 22 milioni di persone che lavorano otto ore al giorno senza remunerazione.
Il lavoro domestico non retribuito è svolto dalla popolazione femminile nel 76,2% dei casi. Parliamo di 16,4 miliardi di ore dedicate al lavoro in casa. Se questi servizi fossero valutati sulla base di un salario minimo orario, la ricchezza mondiale aumenterebbe di 11mila miliardi di dollari.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, gli uomini stanno recuperando terreno nel gap del tempo dedicato al lavoro di cura a un ritmo di 1,2 minuti in più al giorno. Un miglioramento però troppo lento: a questo ritmo l’uguaglianza di genere nel lavoro di cura si realizzerà nel 2066.
Che il lavoro di cura continui ad essere un lavoro invisibile dal punto di vista economico, poi, lo dimostra anche il fatto che nessun paese europeo (e non) raccoglie dati in modo sistematico per monitorarlo. In Italia, ad esempio, l’ultima statistica risale 2014.
LAVORO INVISIBILE, LA SITUAZIONE IN ITALIA
Le donne italiane dedicano quotidianamente 5 ore e 5 minuti al lavoro domestico. Gli uomini arrivano invece a un’ora e 48 minuti al giorno.
La recente pandemia di Covid-19 ha inciso su una situazione già molto squilibrata. Lo smart working ha infatti aumentato – soprattutto per le donne salariate full-time – il tempo passato all’interno delle mura domestiche, e di conseguenza, le ore dedicate alla crescita dei figli, alla cura delle persone anziane e nel complesso al benessere della casa.
Il carico degli impegni familiari non retribuiti è il principale ostacolo all’ingresso nel mercato del lavoro per le donne, influisce sul numero delle ore di lavoro e quindi sul reddito. In Italia, il 21% delle donne non è nel mercato lavorativo a causa dell’impegno svolto tra le mura domestiche.
Fare principalmente affidamento sul lavoro di cura informale non è e, men che mai, sarà sostenibile in futuro. Soprattutto se intendiamo realmente raggiungere gli ambiziosi obiettivi che le istituzioni europee hanno fissato per il 2030 di un’occupazione del 78% della popolazione femminile di 20-64 anni e del dimezzamento del gap occupazionale di genere rispetto a quello del 2019.
IL MIO IMPEGNO IN EUROPA CONTRO IL LAVORO INVISIBILE
Per questo motivo, in Europa abbiamo lavorato per la definizione di una strategia europea per l’assistenza e la cura. La normativa europea è stata elaborata e varata con lo scopo di delineare l’agenda politica e il sostegno economico agli Stati membri per garantire servizi di cura e assistenza di qualità e accessibili e migliorare la situazione di chi la cura la fornisce a livello professionale e/o informale.
Da anni, seguo la condizione delle donne nel lavoro di assistenza e di cura e negli ambienti di lavoro. Mi sono impegnata personalmente affinché la proposta della Commissione europea fosse migliorata.
Il mio obiettivo principale è stato quello di combattere forme di lavoro non dichiarato o sotto-dichiarato: il lavoro invisibile, svolto prevalentemente dalle donne, che sfocia spesso in condizioni di sfruttamento; isolamento sociale e violazione sistematica dei diritti fondamentali. Inoltre, ho chiesto che il settore sia reso più attrattivo anche per gli uomini.
PER UNA VERA EMANCIPAZIONE SERVONO SOLUZIONI CONCRETE
Conferire priorità all’assistenza e alla cura degli anziani, dei disabili e dei minori nelle politiche europee e nazionali è l’unica risposta praticabile per affrontare le sfide che ci attendono. I cambiamenti demografici, l’invecchiamento della popolazione e le riforme connesse alla transizione verde e digitale in Europa amplieranno la domanda dei servizi di assistenza e di cura. In futuro vi sarà una pressione sempre più difficile da gestire dinanzi a una forza lavoro mal pagata e a scarsissimi investimenti.
Viviamo in una società che relega ancora tanto le donne in determinati ruoli per uscire dai quali occorrono politiche mirate. Non bastano, infatti, sgravi una tantum o bonus una tantum che nella manovra economica per il 2024 hanno subìto anche un ridimensionamento.
In Italia, ad esempio, l’11 per cento delle donne con figli non è mai riuscita a inserirsi nel mercato del lavoro e recenti studi osservano che oltre la metà delle donne che diventa madre – a proposito di chi a destra sostiene che la maternità debba tornare ‘cool’ – è costretta a lasciare il lavoro.
Mentre le donne che decidono di non mollare il posto devono destreggiarsi, sopperendo in tanti contesti alla carenza di servizi pubblici e welfare. Insomma, a noi non è piaciuta affatto la risposta della premier Meloni, che con estrema leggerezza, oltre a ritenersi soddisfatta dei risultati ottenuti sulla occupazione femminile, ha aggiunto che “essere madre e carriera non sono nemiche. Che si può fare…”. Lo chieda alle donne italiane che cosa ne pensano…