Amianto, la Commissione Ue contesta il lavoro del Parlamento

Amianto

Ogni anno l’amianto causa tra i 30.000 e i 90.000 decessi in Europa. Solo nel 2020, in Italia ci sono state sette mila vittime. Ci sono ancora milioni di tonnellate di amianto, nella maggior parte dei casi si tratta di amianto friabile – che può essere ridotto in polvere con le mani – presente in numerosi edifici pubblici e privati.

Dal 1993 al 2008, in Italia sono stati diagnosticati 15mila casi di mesotelioma maligno tra i lavoratori normalmente più esposti all’amianto: operai edili specializzati alla rimozione, minatori, addetti allo smaltimento dei rifiuti, vigili del fuoco.

Nel 2018 l’Inail ha riconosciuto nel settore edile 292 tumori di origine professionale e 238 altre patologie correlate all’amianto.

La legge che ha messo al bando questo minerale risale al 1992. Trent’anni dopo però l’Italia deve gestire tante strutture costruite prima degli anni Novanta in cui è presente l’amianto: tettoie, canne fumarie, impianti dell’aria condizionata, tubazioni dell’acqua.

Altro dato importante riguarda le coperture in cemento-amianto che secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) sono circa 58 milioni di metri quadrati su tutto il territorio nazionale. La regione Lazio, secondo le stime di Legambiente, è tra le ultime in fatto di bonifica.

Più semplice individuare gli edifici pubblici che contengono amianto. Mentre è quasi impossibile sapere con certezza quali siano le strutture private che rappresentano un potenziale rischio per la salute dei cittadini.

 

Amianto, la risoluzione del Parlamento tutela i lavoratori

Con il regolamento (CE) n. 1272 del 2008, l’Unione europea definisce l’amianto una sostanza cancerogena, data la correlazione tra le fibre di amianto, che possono essere inalate quando viene tagliato, forato o danneggiato, e diverse patologie gravi, in particolare, alle vie respiratorie.

Sono convinta che ridurre il limite di esposizione all’amianto sia un passaggio fondamentale per salvare la vita a tanti lavoratori e cittadini. Soprattutto perché nella maggior parte delle legislazioni nazionali le malattie causate dalle fibre di amianto non sono considerate malattie professionali. E così chi si ammala o le famiglie non hanno diritto ad alcun risarcimento.

In Commissione occupazione e affari sociali (EMPL)  al Parlamento europeo abbiamo votato l’approvazione della risoluzione sulla ‘Protezione dei lavoratori dall’amianto’.  Accogliendo l’appello dei sindacati CGIL e CISL, affinché i limiti di esposizione all’amianto fissati per legge venissero ulteriormente ridotti.

 

Il testo, nel suo insieme molto positivo, chiede agli Stati di prendere una serie di provvedimenti a tutela dei lavoratori:

  • la riduzione dei limiti di esposizione all’amianto a 1000 fibre per metro cubo contro le 100.000 fibre per metro cubo, riconosciuto nella maggior parte degli Stati membri;
  • l’introduzione di una sorveglianza epidemiologica;
  • l’applicazione di sanzioni efficaci;
  • il riconoscimento dei rischi di esposizione secondaria (familiari/conviventi dei lavoratori);
  • la creazione di un database digitale gratuito e accessibile a tutti per mappare l’amianto;
  • agevolazioni e/o incentivi alle imprese per lo smaltimento del minerale.

L’ingerenza della Commissione europea

Il testo della risoluzione, elaborato dal Parlamento europeo ha subito incomprensibili contestazioni da parte della direzione generale occupazione della Commissione europea.

Sottolineo che la risoluzione obbliga i tecnici di Bruxelles a elaborare un testo normativo entro il 2022, e a farlo seguendo i principi e gli obiettivi discussi e approvati in Commissione occupazione e affari sociali.

Con una lettera, la Commissione europea ha fatto sapere che, in particolare la riduzione dei limiti di esposizione all’amianto è priva di solide basi scientifiche, di fatto mettendo in discussione il lavoro degli eurodeputati.

Ritengo che questo episodio sia la prova di quanto sia importante una seria riflessione sulla riforma della governance europea.

Talvolta infatti i tecnici mettono in dubbio il lavoro svolto dai rappresentanti eletti dai cittadini europei. E come se non bastasse, la Commissione si limita a derubricare il lavoro dei parlamentari a un lavoro di serie B.

Nella lettera infatti invita gli eurodeputati che hanno contribuito alla stesura della risoluzione a fare affidamento sui dati in possesso dei tecnici. In particolare quelli elaborati dal Comitato per la sicurezza e la salute sul lavoro (ACSH).

Ma non ho dubbi sul fatto che aumentare i limiti di esposizione all’amianto costituisca un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Ci sono dati ed evidenze scientifiche oramai pacifiche.

Credo quindi che il Parlamento europeo debba far valere il lavoro svolto e difenderlo dalle ingerenze della Commissione europea. Con l’obiettivo ultimo di vincolare la direttiva ai principi e agli obiettivi fissati nella risoluzione a tutela dei lavoratori e della salute pubblica.