Meno di un anno alla fine di questa difficile legislatura europea: dal 2019 a oggi sono convinta che abbiamo saputo affrontare meglio rispetto al passato sfide inimmaginabili. Penso alla Brexit ma più di ogni altra cosa alla pandemia Covid 19 che ha aperto vecchie e nuove questioni economiche ma soprattutto sociali. Non da ultimo dal 24 febbraio 2022, la guerra in Ucraina.
I risultati ottenuti sono stati straordinari: abbiamo messo in piedi per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale un piano economico – il Next Generation Eu – che ha spazzato via anni e anni di rigorismo e austerity, per accorgerci di quanto l’Unione europea avesse trascurato la dimensione sociale. Abbiamo sperimentato strumenti di politica sociale inediti come lo SURE o spinto in Parlamento per replicare uno schema simile con il Fondo sociale per il clima affinché la transizione energetica in primis non lasciasse nessuno indietro.
Dal 2017, quando molti analisti avevano dato per lettera morta il Pilastro dei diritti sociali dell’Unione europea, io credo che la maggior parte dei passi in avanti sono stati fatti proprio in materia di lavoro. Lavoro che nelle sue mille sfaccettature sta attraversando un lungo periodo di incertezza, avvicinandosi ad alcuni cambiamenti epocali e che tante volte e in innumerevole contesti è stato travolto da una eccessiva deregolamentazione e assenza della politica, delle Istituzioni e più in generale dei corpi intermedi.
La strada da fare verso quella che amo definire la Nuova Europa è ancora lunga. Si avvicinano le elezioni europee e sicuramente l’assetto politico in Parlamento europeo sarà determinante per capire se la nuova Legislatura sarà improntata nel segno della continuità, o diversamente e malauguratamente, nel segno di una rottura profonda.
AL FESTIVAL DEL LAVORO DI BOLOGNA
Sulle politiche del lavoro sono convinta di avere dato un importante contributo quotidiano al Parlamento europeo come componente della Commissione Occupazione e Affari Sociali. E lo dico perché come ho raccontato in questi ultimi due anni di mandato vi ho parlato di diverse leggi europee che considero all’avanguardia rispetto al passato.
Così lo scorso 1°luglio, a Bologna, dal palco del Festival del Lavoro, non ho potuto fare a meno di ricordare che a chi mi chiede quali sono oggi le migliori politiche per rilanciare il mercato del lavoro di guardare all’Europa, quella sotto una luce diversa e sicuramente più reattiva e più sensibile ai problemi dei lavoratori e delle lavoratrici ma anche delle imprese sane e di eccellenza.
Il motto “Non lasciare indietro nessuno” è stato in questo senso il mio e il nostro faro comunicativo e pratico.
Certo, la parola sulle politiche del lavoro e industriali sono e restano per trattato nelle mani degli Stati nazionali. Ma proprio ai paesi europei abbiamo fornito diversi quadri normativi e principi generali per combattere la concorrenza sleale giocata sui salari e in generale sul costo del lavoro che dopo anni e anni di silenzio ha generato una diffusa povertà lavorativa – 90 milioni di working poor in tutta l’Unione europea – e soprattutto una fortissima disaffezione dei cittadini e delle cittadine per le Istituzioni comunitarie.
STOP ALL’AUSTERITY E PIÙ SPAZIO ALLA DIGNITÀ DEL LAVORO
Posso dire anche che mentre su altri temi purtroppo c’è ancora eccessivo spazio per sovranismi ed egoismi, sul lavoro non è a oggi così. Siamo riusciti a lasciarci alle spalle il rigore della vecchia Europa dell’Austerity e a portare a casa vittorie importanti per milioni di lavoratori e lavoratrici:
- Direttiva “salari minimi adeguati”
- Direttiva Lavoratori delle piattaforme
- Le richieste alla Commissione europea di una Direttiva per il Diritto alla disconnessione e i tirocini di qualità
- Strategia europea salute e sicurezza post 2020.
Davanti a tutto questo, direi che è disarmante guardare il totale immobilismo dell’attuale governo italiano che al Parlamento con i conservatori e talvolta i popolari impediscono di migliorare e rafforzare i diritti sociali di milioni di lavoratori e lavoratrici europee mentre a livello nazionale è tutta retorica e fake news in modo particolare contro il salario minimo.
Clicca qui per rivedere il mio intervento al Festival del Lavoro di Bologna.
GLI INTERVENTI DEL GOVERNO ITALIANO NON CONVINCONO
Al di là dell’eccessiva liberalizzazione dei contratti a termine e dei voucher, nulla si dice né sui tirocini di qualità né sugli algoritmi né tantomeno sul salario minimo su cui il governo Meloni continua a fare muro. E questo nonostante più della metà degli italiani e italiane si dice d’accordo sulla introduzione del salario minimo a prescindere tra le altre cose da chi lo propone.
Ecco. Il Partito Democratico assieme ad altre forze della opposizione ha fatto bene e presentare una proposta unitaria di salario minimo. Un segnale politico importante, di coraggio e di maturità, ma soprattutto un segnale forte per milioni di cittadini e cittadine che arrivano a malapena alla fine del mese. Nel prossimo numero vi racconterò la proposta unitaria.
Ciò mentre mentre Meloni definisce “incoraggianti” gli ultimi dati sull’occupazione che cresce, sì, ma ad esempio non per i giovani: 21,7% dei casi non trovano un’occupazione, si allungano le fila di quanti non riescono a mettere insieme due pasti al giorno e chiedono assistenza ai centri Caritas.
Secondo gli ultimi dati disponibili i poveri nel nostro Paese sono arrivati a quota 5.571 milioni nel 2022. Di cui oltre tre milioni sono working poor. Una situazione sicuramente aggravata dalle crisi economiche, dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina ma su cui si può dire che le politiche del lavoro di questi anni pesino. Tornando ai dati, pensate che gli assistiti dalla Caritas sono 255.000, la maggior parte dei quali (57,9%) sono donne, segno evidente che il genere femminile continua ad essere ancora troppo vulnerabile e fatica a trovare un’occupazione con un reddito adeguato per condurre una vita dignitosa.
Sono numeri importanti e molto preoccupanti che dicono che la strada da percorrere non può che essere quella di restituire centralità alla dignità del lavoro. Come? Spazzando via i contratti pirata, rafforzando la contrattazione collettiva, introducendo il salario minimo adeguato, così come richiesto dalla direttiva europea, senza dimenticare di affrontare tutto il tema del salario equo per adeguare finalmente le buste paga dell’Italia alla media europea.