Questa settimana il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sui lavoratori delle piattaforme in occasione di una riunione straordinaria della Commissione Occupazione e Affari Sociali. Il testo del provvedimento è molto positivo, perché garantisce le tutele necessarie a milioni di lavoratori e lavoratrici europei. Negli ultimi anni, il settore delle piattaforme digitali è cresciuto notevolmente, soprattutto, nei due anni e mezzo di pandemia Covid-19. Il numero dei lavoratori delle piattaforme stimati oggi in Italia si aggira sulle 530mila, mentre nell’Unione europea sui 28 milioni, con la prospettiva di un raddoppio entro il 2025.
Nell’ultimo decennio il settore è stato caratterizzato da una forte deregolamentazione, e i casi di sfruttamento, abusi e violazioni sistematiche delle tutele del lavoro non sono mancate, tanto da spingere l’Unione europea a presentare una proposta di direttiva su cui il 12 dicembre scorso, durante l’ultima Plenaria del 2022, si è chiusa una fase dell’iter legislativo.
Dopo il voto in Commissione straordinaria Occupazione e Affari Sociali, infatti, si apre ora il trilogo tra Commissione europea, Parlamento e Consiglio, che precede l’approvazione finale della direttiva. In occasione della votazione in Commissione Occupazione e Affari Sociali, Lega e Fratelli d’Italia hanno votato a favore. Una scelta surreale, perché il governo Meloni ha fatto sapere di volere addirittura indebolire il testo in seno al Consiglio.
Basta con i falsi-autonomi
L’obiettivo delle norme adottate non è solo quello di combattere condizioni di lavoro precarie e la assenza di protezione sociale dei lavoratori delle piattaforme, ma anche, la concorrenza sleale, soprattutto, per difendere le piccole e le medie imprese.
Il testo della direttiva è fondamentale perché introduce il principio di presunzione del lavoro subordinato. Un principio chiave con cui abbiamo voluto fare ricadere sulle piattaforme digitali l’onere di dimostrare che il rapporto di lavoro non è di natura dipendente ma autonoma. Il principio consente al lavoratore o alla lavoratrice interessati oppure al sindacato o infine a una autorità nazionale di contestare il rapporto di lavoro come definito dall’azienda. La stessa avrà dunque la responsabilità di fornire le ragioni per una non-assunzione.
Il principio della presunzione del lavoro subordinato
Tale principio, a mio avviso, è tra i più importanti e colma un vuoto legislativo in tutti i paesi europei che avranno così l’obbligo di attuare la direttiva, eradicando forme sempre più subdole di sfruttamento, caporalato e abusi. Il peso di questa direttiva è notevole, se pensiamo al fatto che non solo il numero dei lavoratori delle piattaforme è in continua crescita ma anche che la situazione in diverse città italiane resta preoccupante. Nonostante denunce, scandali e anche lotte sindacali per tutelare i lavoratori e le lavoratrici.
Secondo recenti indagini a campione, in un caso su cinque, o nei contesti più gravi, in un caso sue due, i rider non sono in regola, spogliati o privati di ogni forma di tutela del lavoro, nella morsa del sommerso, con stipendi fame e alle dipendenze di veri e propri aguzzini. Ci sono società di intermediazione che forniscono alle piattaforme digitali la manodopera ma sottoponendola a ricatti e minacce.
Accade a Milano come a Torino: i caporali infatti in tanti casi sottraggono il 20-50% della busta paga percepita dai lavoratori, parliamo di salari che si aggirano in media attorno ai 400 euro al mese, in cambio delle dotazioni per svolgere il lavoro o peggio ancora degli strumenti necessari a garantire loro la salute e la sicurezza.
Lavoratori delle piattaforme e bassi salari
Sul fronte dei salari, i lavoratori delle piattaforme finiscono facilmente nelle maglie della povertà. Gli ultimi dati disponibili fotografano un rischio elevato di bassi salari. Sette lavoratori su dieci infatti hanno un contratto scritto ma solo l’11% ha un contratto da dipendente. I lavoratori delle piattaforme anche per effetto della pandemia si sono ritrovati ad essere facili vittime di retribuzioni indecenti: in primo luogo perché svolgono generalmente un lavoro intermittente o saltuario, definito a “cottimo”.
I lavoratori delle piattaforme, noti soprattutto come gig worker – fattorini e rider – sono difficili da censire e monitorare, ed è una delle ragioni per le quali l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) li definisce degli “invisibili”. Questo a causa della prevalenza di contratti di prestazione autonoma occasionale, ben al di sotto della soglia dei 5mila euro l’anno, che peraltro non comportano obbligo di contribuzione ai fini pensionistici ma dietro ai quali, al di là dei casi di abuso, sfruttamento e caporalato, nella maggior parte dei casi si nascondono rapporti di lavoro di natura subordinata.
Per risolvere il problema delle paghe da fame, alla direttiva lavoratori delle piattaforme abbiamo affiancato la direttiva ‘salari minimi adeguati’. Quest’ultima è stata già approvata in via definitiva ed è entrata in vigore con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Anche per i rider e i fattorini serve con urgenza il salario minimo per combattere sfruttamento, caporalato, povertà lavorativa e la concorrenza sleale basata sul dumping salariale e sociale. Purtroppo, dopo la mozione della maggioranza di centro-destra, il governo italiano ha alzato un inaccettabile muro sull’introduzione del salario minimo, voltando così le spalle anche ai lavoratori delle piattaforme.
Trasparenza degli algoritmi e sanzioni necessarie
La direttiva approvata fissa tutta una serie di criteri di trasparenza a tutela del lavoratore o della lavoratrice: uno stipendio fisso, un orario di lavoro definito, sistemi di classificazione, monitoraggio o supervisione di un lavoratore, regole relative all’aspetto o alla condotta, opzioni limitate per lavorare per terzi o libertà limitate di scegliere un’assicurazione contro gli infortuni o un regime pensionistico.
Fondamentale il passaggio sulle modalità di funzionamento degli algoritmi, affinché siano trasparenti ed accessibili per eventuali controlli. Attualmente, le piattaforme digitali sono capaci di monitorare e valutare le prestazioni dei lavoratori, mentre questi ultimi non hanno accesso alle informazioni su come funzionano gli stessi algoritmi, quali dati personali vengono utilizzati e in che modo il loro comportamento influisce sulle decisioni prese dai sistemi automatizzati. Per rafforzare la posizione dei lavoratori, il testo votato dal Parlamento ha inoltre introdotto alcune disposizioni per intensificare lo scambio di informazioni tra le autorità competenti sul lavoro, la protezione sociale e fiscale nei casi dei transfrontalieri e sanzioni dissuasive.
Presto, anche una direttiva sull’intelligenza artificiale
L’unico rammarico è che la direttiva lavoratori delle piattaforme non si applicherà a tutti i lavoratori, come ho chiesto sin dal principio, ma solo a quelli delle piattaforme digitali o gig worker, quindi, rider, fattorini o autisti. Eppure, negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale è divenuta sempre più centrale per l’assunzione, la gestione e il controllo del personale soprattutto nelle grandi aziende o nelle multinazionali.
Per questo, chiedo che l’Unione europea si dia da fare, al più presto, per l’adozione di una direttiva sull’intelligenza artificiale al fine di dotarci di regole chiare sull’utilizzo degli algoritmi proprio nei casi di valutazione, assunzione e gestione del personale. L’utilizzo degli algoritmi, infatti, può risultare eccessivamente pervasivo ma anche generare forti discriminazioni. Auspico che sulla direttiva lavoratori piattaforme si arrivi al voto finale già entro gennaio 2023. E che si la direttiva sull’intelligenza artificiale sia una delle priorità del prossimo semestre europeo.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.