La Commissione europea ha presentato una proposta di revisione della Direttiva sulle emissioni industriali (IED). La direttiva del 2010 è nata per attuare azioni di prevenzione e riduzione dell’inquinamento a livello europeo, e fissa una serie di criteri per l’autorizzazione e il controllo degli impianti e sull’applicazione delle migliori tecniche disponibili (o BAT).
La stessa direttiva riguarda anche gli allevamenti avicoli e suinicoli di grandi dimensioni. Allevamenti di oltre due mila suini o più di 40mila polli. La proposta di revisione della Commissione europea chiede di applicare la direttiva IED anche agli allevamenti di bovini dai 150 capi in su, finora esclusi.
Attualmente solo il 5% degli allevamenti avicoli e suinicoli delle strutture attive negli Stati membri rientra nella sfera di applicazione della direttiva in questione. Sulla base delle proposte della Commissione si salirebbe il 13%.
Cosa prevede la nuova Direttiva
Nell’intenzione della Commissione, l’aggiornamento normativo aiuterà a orientare gli investimenti industriali necessari per trasformare l’Europa in un’economia climaticamente neutra entro il 2050. L’obiettivo è quello di stimolare l’innovazione industriale, soprattutto, nel lungo periodo.
Più in generale, poi, la revisione della Commissione europea punta a introdurre nuovi principi per l’autorizzazione e la verifica dei valori emissivi dei grandi impianti industriali e a garantire ai cittadini più trasparenza tramite un portale online da cui potere consultare i dati sulle attività inquinanti in tutta Europa.
Direttiva emissioni industriali, errore estenderla anche ai piccoli allevamenti
È ben noto che i costi sanitari legati all’inquinamento di origine industriale (ossidi di zolfo, ossidi di azoto, ammonio, particolato, metano, mercurio e altri metalli pesanti) si misurano in miliardi di euro e in centinaia di migliaia di morti premature ogni anno e in danni anche per gli ecosistemi, le colture e l’ambiente.
Secondo le stime di Bruxelles, questa proposta comporterà benefici per la salute del valore di 7,3 miliardi di euro all’anno. Se le nuove regole saranno approvate, gli Stati membri saranno tenuti a utilizzare valori limite di emissione più severi quando rivedono i permessi o stabiliscono nuove condizioni di autorizzazione.
Considero tuttavia profondamente sbagliato equiparare un allevamento ad una centrale elettrica o ad un impianto di produzione chimica.
Proporre di estendere l’applicazione della direttiva IED, che pure negli ultimi 15 anni ha contribuito a ridurre fino al 75% il rilascio di tante sostanze nocive per la salute umana e per l’ambiente, anche agli allevamenti di piccole e medie dimensioni è un errore grave.
Soprattutto in un momento così difficile come quello attuale, dove già tante realtà produttive del settore agricolo e dell’allevamento sono costrette a fare i conti con costi di approvvigionamento e mantenimento esorbitanti.
L’indirizzo proposto dalla Commissione dimostra, ancora una volta, che non è stata presa in considerazione nessuna valutazione d’impatto dal punto di vista economico e sociale.
Direttiva emissioni industriali, costi insostenibili per molti allevatori
I dati parlano di un aumento dei costi di produzione per le aziende zootecniche italiane pari al 111%. Un aumento medio di poco superiore a 29.000 euro a livello nazionale, che però raggiunge i 90.000 euro per le aziende specializzate nell’allevamento delle vacche da latte.
Tali aumenti sono legati all’eccezionale rincaro (a livello medio aziendale) delle spese per l’energia elettrica (+35.000 euro), per l’acquisto di mangimi (+34.000 euro) e dei carburanti (+6.000 euro). Con queste cifre, un’azienda su quattro potrebbe non riuscire a far fronte ai pagamenti immediati e a coprire i costi correnti, con il forte rischio di dover chiudere l’attività.
Come denunciato anche dalla Coldiretti nell’aprile scorso, i costi di adeguamento alle nuove disposizioni saranno economicamente e socialmente insostenibili per moltissimi allevamenti, in Italia e in tutta Europa. Occorrono circa 10.000 euro solo per effettuare uno studio preliminare e tra i 40 e i 50mila euro per mezzi più adeguati a gestire e limitare le emissioni prodotte.
Rischi per la produzione e la sicurezza alimentare
Tutto questo si traduce inevitabilmente nel rischio molto forte di un taglio della produzione sul mercato interno europeo che aprirebbe la strada a importazioni da paesi terzi dove le regole sono meno rigorose di quelle europee, anche ai fini della sostenibilità ambientale. Inoltre, i piccoli produttori, che rappresentano la maggioranza in molti degli Stati Ue, sarebbero automaticamente messi fuori dal mercato e costretti a mio avviso a cedere le loro aziende alle grandi multinazionali.
Al Parlamento europeo continuerò a dare battaglia affinché nei prossimi passaggi dell’iter legislativo, possa essere profondamente rivista la proposta della Commissione.
Ho sempre detto nei mesi scorsi quanto sia importante per l’Unione europea e per l’Italia investire il più possibile nella sicurezza alimentare e nell’autosufficienza. Sono convinta che la revisione della Commissione europea rischia di alimentare determinati business come quello legato alla carne sintetica, anche se oggi in Europa è in corso solo una sperimentazione; o di agevolare le multinazionali dell’allevamento che possono sostenere i costi legati alle autorizzazioni e agli impianti necessari per ridurre le emissioni inquinanti.
Condivido anche l’allarme lanciato dal presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, che nella proposta di revisione della direttiva emissioni industriali vede il pericolo anche di un aumento delle importazioni di carne e di latte provenienti dai paesi extra Ue, dalle quali peraltro l’Italia già dipende per il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, che applicano senza ombra di dubbio standard di sicurezza e ambientali meno stringenti dei nostri.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.