La legge europea sul salario minimo è ormai realtà. Dopo il via libera da parte di Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, ieri (15 giugno 2022, ndr) è arrivato anche il via libera quasi plebiscitario da parte del Comitato dei rappresentanti permanenti (o COREPER I), organo del Consiglio europeo, a cui è stato dato mandato di approvare il testo. Due Stati, Danimarca e Svezia, hanno votato contro, mentre l’Ungheria si è astenuta.
I prossimi passaggi, il primo, in Commissione Occupazione e Affari sociali, avverrà il 12 luglio. Il secondo, invece, si terrà a settembre in Plenaria. Passaggi decisivi per la ratifica della legge europea sul salario minimo. Commissione e Plenaria infatti decideranno se dire sì o no in via definitiva al testo.
Salario minimo e disinformazione
Lavoro a questa legge da oltre due anni. Conosco molto bene ogni singola tappa del provvedimento che sono convinta restituirà dignità a milioni di lavoratori e lavoratrici in Italia e in Europa.
Con grande amarezza, quindi, ho letto e ho ascoltato le opinioni spesso fuorvianti di coloro che ritengono che il nostro Paese non ha bisogno del salario minimo o che non può funzionare.
Addirittura c’è chi, senza conoscere minimamente il contenuto della direttiva, diffonde analisi e dati sbagliati che contribuiscono ad alimentare una pericolosa disinformazione.
Ritengo perciò doveroso fare il punto sulle “fake news” ripetute da esponenti del centro destra e da alcuni giornalisti all’indomani dell’accordo politico raggiunto a Strasburgo il 7 giugno scorso, e che non hanno assolutamente il minimo fondamento.
La direttiva è vincolante per tutti gli Stati membri, Italia compresa
È falso che la legge europea sul salario minimo non è vincolante o che non si applica all’Italia. La direttiva infatti è un provvedimento legislativo che contiene pochi ma chiari obiettivi indispensabili per contrastare la povertà lavorativa che interessa ad oggi quasi quattro milioni di lavoratori e lavoratrici in Italia.
Se il nostro paese non si adegua alla legge europea, ignorando la richiesta dell’Europa di alzare i salari, il rischio è di dovere pagare una multa salata con il paradosso di spendere soldi pubblici per aver infranto la legge, senza aver mosso un dito per risolvere il problema delle buste paga da fame. Sarebbe un esito assurdo, e un danno incalcolabile per i cittadini e per le cittadine, oltre che per migliaia di imprese.
La direttiva è dunque vincolante per tutti gli Stati membri, compresa l’Italia che, sono convinta debba applicarla a tempo di record. Prima dei due anni previsti, perché siamo tra i pochi paesi europei a non avere ancora il salario minimo e fanalino di coda per crescita media dei salari.
I lavoratori poveri in Italia ci sono perché negli ultimi dieci anni hanno proliferato contratti pirata, e troppi contratti collettivi nazionali di lavoro non sono stati rinnovati. La contrattazione collettiva si è fortemente indebolita, e non riesce oggi in tanti settori a garantire salari dignitosi, diritti e tutele fondamentali ai lavoratori e alle lavoratrici.
In Europa, si è preso atto che la povertà lavorativa può essere alimentata da una contrattazione collettiva inadeguata o insufficiente. Per questo, io dico che dobbiamo affrontare in modo organico il problema, riformando il sistema dei CCNL.
Contratti scaduti e lavoratori privi dei CCNL
Quando Salvini, Brunetta, Giorgetti e Confindustria dicono che l’Italia è a posto, perché la percentuale di rapporti di lavoro coperti dalla contrattazione collettiva è al di sopra della soglia indicata dalla legge europea dell’80 per cento, omettono la realtà.
L’ultimo monitoraggio del CNEL ha dimostrato che al 3 febbraio 2022 solo gli accordi scaduti erano 516, pari al 62% del totale, quasi otto milioni di lavoratori. Questa percentuale è sicuramente più alta, perché il monitoraggio non considera i contratti del settore agricolo e quelli del lavoro domestico. C’è poi il problema che tante categorie di lavoratori oggi non sono coperti dalla contrattazione collettiva.
La legge europea prevede invece che gli accordi collettivi e il salario minimo si applichino a tutti i lavoratori, pubblici e privati, comprese le false P.IVA, gli stagisti, gli apprendisti, i gig worker e infine i lavoratori a chiamata. Dire, dunque, che in Italia il 97% dei rapporti di lavoro sono coperti dalla contrattazione collettiva è falso. La legge europea parla di contrattazione collettiva “genuina”.
La legge europea sul salario minimo, quindi, prevede di riformare il sistema della contrattazione collettiva quando la soglia è al di sotto dell’80%. Ciò non significa però che, in base alla direttiva, un paese con l’80% dei rapporti di lavoro garantiti dalla contrattazione collettiva non abbia bisogno di un salario minimo.
Stop alla povertà lavorativa
Secondo le stime dell’Eurostat, il 12 per cento dei lavoratori italiani sono poveri. Un dato preoccupante che non possiamo in nessun modo ignorare.
Il vero cuore di questa legge europea è fissare una soglia di dignità. Al di sotto della quale nessun datore di lavoro può scendere. Un aspetto davvero fondamentale per il nostro Paese, dove ci sono buste paga da cinque euro lordi l’ora e che riguardano 3,5 milioni di lavoratori.
La legge europea stabilisce anche che gli Stati membri hanno l’obbligo di definire un paniere di beni e di servizi a prezzi reali da agganciare ai soli salari minimi, grossomodo 9 euro lordi l’ora indicati nel ddl Catalfo ora in discussione al Senato.
Il salario minimo non abbassa i salari alti
Chi sostiene che il salario minimo abbasserà le retribuzioni più alte, sbaglia. Sbaglia perché la direttiva specifica che le aziende o i datori di lavoro non possono andare ‘a gambero’ sulle retribuzioni. E, in ogni caso, non possono penalizzare i lavoratori.
Se, dunque, un operaio specializzato percepisce già 12 euro lordi l’ora in busta paga, l’introduzione del salario minimo legale non butterà giù il suo salario orario. Ecco perché ritengo necessario che il salario minimo vada applicato a tutti i settori e a tutti i lavoratori. Per portare verso l’alto quei salari da fame che abbassano la media delle retribuzioni italiane.
Salario minimo e produttività
Altrettanto impensabile è l’idea di legare la definizione del salario minimo alla produttività. La legge europea stabilisce di agganciare le retribuzioni solo alla produttività di lungo periodo, lasciando che il salario minimo, che serve a garantire al lavoratore una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia, dipenda piuttosto dal costo della vita.
Per l’Italia, dove dal 1990 a oggi la crescita media dei salari è stata addirittura negativa e la produttività è cresciuta solo di 10 punti rispetto agli altri Stati europei, è giunto il momento di alzare i salari e di adeguarli all’andamento dell’inflazione. Trascinare ancora a lungo il problema delle buste paga da fame, penalizzerà i giovani, le donne, i lavoratori poveri che, anche se dipendenti, dichiarano meno di 10mila euro l’anno di reddito. Tergiversando, continueremo, di fatto, ad alimentare un circolo vizioso per cui l’Italia sarà condannata a rincorrere affannosamente il resto d’Europa, bruciando benessere e ricchezza.
Restituire valore al capitale umano
Non possiamo più sottovalutare il peso della precarietà del lavoro; il boom del part time involontario che ha colpito tra 2020-2021 in modo particolare le donne; e l’esplosione dei contratti a termine e atipici.
Il Movimento 5 Stelle ha sempre sostenuto che il salario minimo rappresenta una misura indispensabile che va introdotta al più presto nell’interesse di tutti. Muoviamoci subito sulle due direttrici indicate dalla legge UE. Garantiamo a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici buste paga che consentono di vivere con dignità e di lavorare con dignità.
Ricostruiamo la contrattazione collettiva cancellando i contratti pirata. E difendiamo le imprese italiane dal dumping sociale e dalla concorrenza sleale. La risorsa più grande del nostro made in Italy è il capitale umano al quale dobbiamo restituire fiducia nel futuro.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.