I massacri avvenuti a Bucha, città ucraina, hanno spinto il Parlamento europeo a rispondere con una forte risoluzione nella quale si chiede anche l’embargo totale e immediato sulle importazioni di gas naturale, petrolio, carbone e nucleare provenienti dalla Russia.
Il sette aprile scorso, l’Eurocamera, riunita a Strasburgo ha approvato la suddetta risoluzione con 513 voti favorevoli, 22 contrari e 19 astensioni. La maggioranza degli eurodeputati, dunque, ha chiesto con forza all’esecutivo europeo di adottare ulteriori misure sanzionatorie contro Mosca.
Vladimir Putin nega i massacri di Bucha, anche se documentati, in parte, dalle immagini satellitari. Il bilancio è atroce: oltre 400 vittime civili accertate, ritrovate in fosse comuni, e per ora circa 200 dispersi.
L’Ue reagisca ai massacri in Ucraina
L’escalation di violenza contro civili inermi richiede una risposta da parte dell’Unione europea e degli alleati. La richiesta di un tribunale per i crimini contro l’umanità commessi dall’esercito russo può essere solo un tassello.
L’Unione europea, infatti, ha il dovere morale e politico di tagliare le importazioni dei combustibili fossili russi. Deve provvedere a una strategia energetica efficace che assicuri le forniture necessarie a soddisfare il fabbisogno delle imprese, della grande industria e delle famiglie.
La risoluzione del Parlamento europeo chiede che all’embargo segua “un’azione volta a continuare ad assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione europea nel breve termine”.
Come eurodeputata, che ha votato a favore di questa importante risoluzione, non solo mi aspetto che i responsabili di questi atroci crimini di guerra siano presto processati, ma anche che l’Unione europea sottragga al presidente Putin tutte le risorse che gli consentono di portare avanti l’invasione in Ucraina.
Dall’inizio dell’aggressione, l’Unione europea continua a pagare a Mosca milioni di euro, in modo particolare per le forniture di gas naturale. A mio avviso, la scelta di chiedere l’embargo è più di una prova di forza dell’Europa contro la Russia. Piuttosto, è la dimostrazione che è arrivato il momento di fare sul serio. Di inasprire le sanzioni contro Mosca. Isolare la Russia. E costringere Putin a mettere fine alla guerra in Ucraina.
Per questo motivo, considero il voto del Parlamento europeo un voto coraggioso. Netto, “chiaro” come lo ha definito la presidente Roberta Metsola, ma soprattutto doveroso.
L’embargo sul gas non trova d’accordo tutti
Non altrettanto coraggiosi si stanno dimostrando alcuni Stati membri, che in seno al Consiglio europeo hanno detto chiaramente di non volere sostenere la proposta di un embargo sul gas naturale russo.
Il “no” netto è giunto dalla Germania, dove il ministro delle Finanze, Christian Lindner, ha fatto sapere la settimana scorsa che l’embargo è una misura eccessiva e che per procedervi è necessario più tempo.
Senza dubbio, la dipendenza dell’Unione europea dal gas naturale russo e quella dal petrolio, dal carbone e dal nucleare oggi hanno un peso diverso. Attualmente, infatti, l’Unione europea importa dalla Russia quasi la metà del gas naturale necessario al proprio fabbisogno energetico.
A certificarlo i dati Eurostat: nel 2021 Mosca ha soddisfatto il 45,8% dell’import europeo di gas naturale; il 29,8% di petrolio e il 44,8% di carbone. Nel complesso l’87% degli acquisti europei dalla Russia è costituito da beni energetici, e questo spiega perché la richiesta di un embargo sui combustibili fossili rappresenti una decisione politicamente ed economicamente cruciale.
Non solo. Anni e anni di azioni in ordine sparso da parte dei paesi europei hanno reso più debole l’Unione europea sull’energia. Oggi, assieme alla Germania, l’Italia è tra i paesi membri più esposti al taglio delle forniture di metano russo. Perché il settore manifatturiero è il secondo in Europa. Ci sono però anche altri Stati membri che temono l’embargo, tra i quali l’Austria.
La posizione dell’Italia
La dipendenza dal gas naturale russo accomuna tutti i paesi membri. Eppure, riconosco il grande merito dell’Italia di avere giocato d’anticipo sulla diversificazione e l’approvvigionamento energetico e di essere stato al tempo stesso uno dei primi e principali attori in Europa su questi temi dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina.
Azerbaigian, Congo, Mozambico, Egitto, Algeria, Qatar. Sono solo alcune delle tappe del lavoro di “diplomazia energetica” svolto dal nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per mettere in sicurezza il Paese ed evitare così razionamenti in inverno, proprio perché il conflitto russo-ucraino potrebbe durare a lungo.
Questa nuova crisi richiede un grande sforzo politico e istituzionale. Nel breve e medio termine, la scelta di rafforzare i rapporti commerciali con altri Stati è imprescindibile per contribuire alla descalation del conflitto e all’isolamento di Putin.
Al tempo stesso, ritengo necessario fissare un tetto massimo al prezzo del gas naturale per tutelare imprese e famiglie europee. E, infine, un Energy Recovery Fund che consenta all’Unione europea di affrontare questa nuova emergenza, condividendo rischi e obiettivi, come è stato fatto per la pandemia di Covid-19.
Per il lungo periodo, l’Unione europea deve prendere decisioni più lungimiranti. La sovranità energetica infatti andrebbe costruita, rafforzata e garantita oltre il conflitto per voltare finalmente pagina e lasciarsi alle spalle gli errori del passato.
Contro la crisi energetica l’Europa deve restare unita
Il voto del Parlamento UE sull’embargo al gas russo dimostra che l’Europa c’è ed è pronta ad andare fino in fondo per chiudere questa guerra. Dobbiamo lavorare uniti per realizzare una nuova strategia europea sull’energia che metta fine a dannose azioni in ordine sparso dei paesi europei.
Dobbiamo arrivare quanto prima a stabilire un tetto massimo al prezzo del gas. In questo particolare momento non possiamo pensare di preferire dinamiche speculative alla sicurezza delle nostre famiglie, che non riescono, come le imprese, a fronteggiare aumenti record della bolletta elettrica.
I costi dell’energia per le nostre industrie sono già allarmanti. 37 miliardi di euro in più del 2021, complice l’inflazione alle stelle che difficilmente rientrerà nei prossimi mesi.
Dobbiamo impedire che imprese e industrie riducano o nel peggiore dei casi siano costrette a interrompere la produzione, con effetti devastanti sull’occupazione e sulla ripresa economica. Allo stesso modo, dobbiamo sostenere i nuclei familiari, soprattutto quelli con redditi più bassi, già messi a dura prova dalla pandemia e impedire il dilagare della povertà energetica che riguarda già 34 milioni di persone in tutta Europa.
Un Recovery Fund per l’energia
Al Parlamento europeo continuerò a chiedere la realizzazione di un Energy Recovery Fund che sostenga prima di tutto le filiere produttive strategiche e consenta all’Unione europea di non rallentare o rinunciare alla transizione verso fonti energetiche rinnovabili. Altro imprescindibile tassello per una concreta indipendenza del Continente.
Come ha detto più volte anche il Presidente Giuseppe Conte, l’Unione europea deve costruire un piano energetico finanziato con “energy bond” sul modello del Next Generation EU. Solo così l’Italia e l’UE potranno perseguire tutti gli obiettivi post Covid nonostante questo ingiustificato e ingiustificabile conflitto.
La priorità per nuove politiche energetiche comuni è fondamentale, perché esse servono ora e serviranno anche alle future generazioni.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
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