Una riforma sulle delocalizzazioni non serve a punire le imprese, ma a tutelare il lavoro, i territori. E allo stesso tempo la crescita economica dell’Italia e dell’Unione europea.
Nel nostro Paese le delocalizzazioni sono un problema reale. Così come lo sono sempre più nel mercato unico europeo.
Delocalizzazioni, importante agire subito
Sono convinta che il viceministro allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde e il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, abbiano fatto bene a presentare l’estate scorsa un testo legislativo sulle delocalizzazioni.
Il futuro che immagino per il nostro Paese e per l’Europa è fatto da una economia di mercato capace di rispettare il lavoro e più in generale la dimensione sociale.
Ritengo infatti che le aziende che decidono di chiudere gli stabilimenti da un giorno ad un altro – approfittandosi dei mezzi telematici per licenziare – vadano isolate.
Grazie alla legge Todde-Orlando, l’Italia avrebbe potuto disincentivare tutta una serie di comportamenti delle multinazionali, penalizzanti per l’UE e l’Italia.
L’arma del salario minimo
Contro le delocalizzazioni predatorie, giustificate solo dalla logica di fare il maggior profitto possibile, auspico che l’Italia e l’Unione europea possano avere presto a disposizione un altro importante strumento a tutela del lavoro: la direttiva salario minimo.
La garanzia di retribuzioni adeguate a tutti i lavoratori metterà in difficoltà le multinazionali che continuano a sfruttare le differenze salariali esistenti tra i Paesi UE, utilizzando “male” le delocalizzazioni.
Questa è dunque una partita che dobbiamo saper giocare prima di tutto all’interno dell’UE. E che non riguarda solo la competizione con i paesi terzi.
Gli appelli dai territori
L’Italia e l’Europa non possono più aspettare. Mi ha colpito il fatto che tre sindaci abbiano rivolto un preciso appello al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, per chiedere un intervento in tema di delocalizzazioni.
Credo perciò che l’emendamento introdotto nella Legge di Bilancio 2022 rappresenti un primo segnale.
Napoli, Firenze, e Bologna hanno un tessuto produttivo diverso, eppure affrontano tutte lo stesso problema a causa delle delocalizzazioni.
Ciò significa che il fenomeno è diffuso in tutto il Paese, e che l‘Italia intera rischia di questo passo un impoverimento sociale ed economico dei territori.
L’emendamento sulle delocalizzazioni
L’emendamento sulle delocalizzazioni è un compromesso, raggiunto tra il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, del viceministro, Alessandra Todde con il ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti e il ministro dell’Economia, Daniele Franco.
Dell’emendamento presentato condivido il rafforzamento delle sanzioni contro le multinazionali che negli ultimi anni hanno delocalizzato non curanti delle istituzioni, dei riflessi sui lavoratori e sul tessuto produttivo di tanti territori.
Altro aspetto importante: l’obbligo per le multinazionali di comunicare in maniera preventiva le decisioni alle istituzioni italiane.
Le grandi aziende si sforzino di elaborare un piano di re-industrializzazione.
Non imbocchino sempre la via più facile, talvolta ingiustificata, della ristrutturazione economica e dei licenziamenti collettivi.
Il Semestre europeo a guida francese
L’iniziativa dell’Italia sulle delocalizzazioni non è isolata. Anche la Francia, dove il controllo dello Stato sulle attività produttive è più capillare, è stata costretta a varare un paio di anni fa una legge anti dumping e anti delocalizzazioni per arginare la fuga delle aziende all’estero.
La presidenza francese del Semestre europeo avrà inizio il 1°gennaio 2022. E lascia presupporre che anche la maggioranza dei Paesi UE voglia portare avanti misure per una maggiore tutela dei lavoratori. Oltre che del tessuto produttivo europeo.
Nel suo discorso di presentazione del Semestre europeo, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha sottolineato la necessità di creare nuovi posti di lavoro fornendo una occupazione di qualità, ampliando le qualifiche dei lavoratori e favorendo una migliore retribuzione.
La Francia guarda con interesse alla direttiva sul salario minimo. Ma anche alla parità di genere e alla cosiddetta responsabilità dell’industria sia a livello sociale sia a livello ambientale.
Contro le delocalizzazioni predatorie, usiamo il Reshoring
L’intervento del Legislatore sia a livello italiano sia a livello europeo si fa sempre più forte. Ma da solo non basta.
Per affrontare e superare la crisi innescata dal Covid-19 avremo bisogno di filiere più corte e di minor interdipendenza tra le catene del valore.
Questo, affinché l’economia di mercato rispetti la dimensione sociale e allo stesso tempo diventi più resiliente contro le crisi.
Più volte ho ricordato la necessità di agire per riportare a casa le tante aziende che negli anni hanno delocalizzato in altri Stati. Dove il costo del lavoro e la concorrenza aziendale sono de-regolamentate.
Considero il reshoring un’altra battaglia storica che il MoVimento Cinque Stelle può vincere spingendo verso l’adozione di fiscalità vantaggiose nei confronti delle aziende che rappresentano un valore aggiunto per il Paese.
A livello europeo, invece, occorre garantire una concorrenza equa all’interno del mercato unico. Per raggiungere tale obiettivo, servono almeno tre presupposti:
- rivedere il Patto di stabilità, che blocca la capacità di investimento degli Stati membri;
- sterilizzare quei meccanismi che ad oggi sono fonte di distorsione del mercato e generano concorrenza sleale, come il dumping fiscale e salariale;
- rivedere le norme sugli aiuti di Stato ed estensione del Golden Power per impedire le acquisizioni di aziende strategiche da parte di multinazionali estere.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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