Politica Agricola Comune, Domande&Risposte

Politica Agricola Comune

L’approvazione della nuova Politica Agricola Comune 2023 -2027, durante la Sessione Plenaria del 23 novembre scorso, è giunta alla fine di un lungo negoziato inter istituzionale durato oltre 3 anni e mezzo. Sulla PAC non sono mancate tensioni e aspre polemiche.

Questa nuova programmazione rappresenta un punto di partenza grazie al quale l’Unione Europea potrà finalmente declinare la filiera agroalimentare in chiave più sostenibile sul piano economico, ambientale e sociale.

Domande e risposte per fare chiarezza

Tuttavia, nonostante il voto ampiamente favorevole del Parlamento, permangono in tanti, siano essi cittadini o imprese, delle perplessità che ritengo siano frutto di una scarsa informazione.

Ma anche dalla complessità della materia, che incide su un terzo del bilancio dell’intera UE. La nuova PAC contiene numerosi elementi tecnici che vanno analizzati singolarmente e poi contestualizzati per comprenderne funzionamento e finalità.

Dalla approvazione della PAC ho raccolto una serie di quesiti dalla stampa, dagli imprenditori imprenditori e dai cittadini.

La nuova PAC è frutto di un compromesso? E’ da considerare una sconfitta?

Assolutamente No, anzi il contrario! Innanzitutto dobbiamo tenere presente che la vecchia PAC 2014-2020 è stata prorogata per altri due anni proprio per l’incapacità delle istituzioni europee di chiudere durante il mandato precedente un accordo adeguato.

Inoltre, le tre idee di Politica Agricola Comune portate avanti da Consiglio, Commissione e Parlamento europeo erano molto distanti tra loro.

Basti ricordare che la Commissione, prima con il Commissario Hogan e poi con Wojciechowski, aveva sostenuto un modello di PAC regionalizzato, ossia una PAC “à la carte”, nella quale ogni Stato avrebbe gestito i fondi destinati all’agricoltura a piacimento secondo le esigenze nazionali.

Una PAC “regionalizzata” avrebbe alimentato forme di dumping ambientale e concorrenza sleale.

D’altro canto, il Consiglio si è sempre dimostrato estremamente conservatore nei confronti di qualunque ambizione sociale o ambientale. L’obiettivo di molti governi infatti è di congelare il dibattito.

Impedendo una evoluzione della programmazione che oggi grazie al lavoro del Parlamento Ue contiene gli eco-schemi e il principio della condizionalità sociale o strumenti  di tutela per i piccoli agricoltori o i giovani.

Certo, durante i negoziati gli obiettivi ambientali sono stati oggetto di controversia maggiore.

Ad esempio il MoVimento Cinque Stelle ha voluto che il 35% delle risorse della nuova PAC venissero destinate al primo pilastro, quello dedicato ai pagamenti diretti agli agricoltori. Dopo il negoziato, siamo riusciti a strappare un 25%.

Anche rispetto al secondo pilastro, che riguarda invece lo sviluppo rurale siamo riusciti a ottenere che il 35% delle risorse siano destinate agli schemi agroambientali.

La condizionalità sociale 

Tra le battaglie estremamente simboliche ricordo quella sulla “condizionalità sociale”, approvata con uno scarto minimo in Parlamento proprio grazie al voto decisivo del M5S nell’ottobre 2020.

Il principio della condizionalità sociale è fondamentale per contrastare il caporalato, e garantire così finalmente il rispetto del diritto del lavoro in un settore in cui i lavoratori sono pagati pochissimo e sfruttati moltissimo.  Né la Commissione né il Consiglio hanno voluto inserire nel testo della nuova PAC questo strumento sociale rispetto al quale ha vinto il Parlamento europeo.

Votare contro il testo dell’accordo, quindi, avrebbe significato azzerare tutto. Senza alcuna certezza.

La Politica Agricola Comune 2023-2027 resta un compromesso, certo. Ma un compromesso complessivamente valido che ci consente di pianificare un futuro migliore per l’intero settore agroalimentare nel quadro delle nuove sfide globali, tenendo in debita considerazione le aspettative dei consumatori e tutelando il futuro delle nuove generazioni.

La nuova PAC è puro greenwashing e non pensa all’ambiente?

Ritengo questa affermazione falsa nel merito e nel metodo. Cominciamo dall’evidenziare una serie di fatti incontrovertibili.

La vecchia PAC 2014-2020, ossia quella che è attualmente in vigore e prorogata fino al 31 dicembre 2022, nel caso fosse stato bocciato il nuovo accordo, avrebbe continuato a influenzare la politica agricola europea ancora per molti anni. Almeno fino al 2028.

Il rischio era quello di incorrere in una bocciatura da parte della Corte dei Conti Ue, come è già avvenuto in passato: ad esempio

con la Strategia Biodiversità 2020. I giudici hanno evidenziato come nonostante gli ingenti finanziamenti 86 miliardi, di cui 66 (pari al 77%) presi dalla PAC, l’UE non ha raggiunto neppure un obiettivo di quelli fissati nel testo.

A causare questo fallimento non sono stati certo gli agricoltori, disinteressati alla tutela del suolo, delle risorse idriche e delle specie animali e vegetali. Piuttosto obiettivi irrealistici. Per questo sono convinta che sia fondamentale puntare su target sì ambiziosi ma pur sempre concreti.  Non esiste infatti un’agricoltura più verde senza agricoltori, hanno bisogno di adeguati meccanismi di accompagnamento.

Occorre ricordare che la transizione verde non può essere realizzata in pochi giorni ma che, essendo legata alla natura e ai cicli stagionali, richiede anch’essa tempo e programmazione.

Per quanto riguarda il metodo. Credo sia difficile dire oggi se la nuova PAC alimenterà il greenwashing. Anche perché le strategie più ambiziose in questo senso, come la strategia Biodiversità 2030 oppure la Farm to Fork, alle quali la PAC è agganciata, sono ancora oggetto di negoziato.

Abbiamo bisogno di maggior certezza giuridica, come auspicato dalla Corte dei Conti, per rendere gli agricoltori veri protagonisti della transizione verde con particolare attenzione ai più piccoli che hanno bisogno di aiuto maggiore.

Un ruolo centrale poi lo giocheranno i singoli Stati membri, perché è a loro che spetterà il compito, tramite i Piani Strategici Nazionali, declinare in modo efficace la nuova PAC.

La nuova PAC aiuta i piccolissimi agricoltori? Se sì, come?

Per la gran parte degli europarlamentari italiani è fondamentale difendere i piccoli agricoltori, perché sono l’asse portante del nostro modello agricolo. È grazie a loro se, nell’anno in corso, l’Italia è riuscita a fatturare 50 miliardi di euro di export, nonostante la pandemia di Covid-19.

Sono convinta che difendere i piccoli agricoltori sia anche una questione di identità culturale, di conservazione delle tradizioni e di tutela della biodiversità del nostro Paese. Il modello italiano credo che non vada solo difeso, ma anche quanto più possibile esteso a livello europeo. Rappresentando sotto molti aspetti un unicuum, il made in Italy è facilmente più esposto alla concorrenza sleale, alle truffe e alle imitazioni non solo fuori ma anche dentro l’UE.

Per questo abbiamo ritenuto opportuno mantenere gli strumenti finanziari che erano già noti ai piccoli e piccolissimi agricoltori per non generare “strappi” nella nuova programmazione.

Mi riferisco alla struttura della PAC su due pilastri, al sistema di aiuti al reddito ed in particolare il meccanismo di regime di aiuti agevolati per i piccoli agricoltori (sotto i cinque ettari).

Ma abbiamo anche puntato per un rafforzamento degli strumenti esistenti.

Penso in particolare alla battaglia sul capping, che noi del M5S volevamo fissare a 100mila euro per azienda agricola, in modo da garantire una più ampia redistribuzione dei fondi a favore dei piccoli imprenditori.

Alla fine è stato approvato un principio obbligatorio di redistribuzione dei fondi ricevuti pari al 10%. Esso rappresenta comunque un passo avanti importante.

Inoltre, c’è un aumento dei finanziamenti a favore dei giovani agricoltori (under 40) passati dal 2% al 3% in modo da incentivare il ricambio generazionale ma anche misure rafforzate di gestione del rischio (3% dal primo pilastro) fondamentali per un paese come il nostro molto esposto a disastri naturali. Divenuti più frequenti e devastanti anche per effetto del cambiamento climatico.

Infine è stato rifinanziato il fondo di riserva agricola contro gli shock di mercato con uno stanziamento di 450 milioni di euro all’anno. Un altro elemento fondamentale per proteggere i nostri produttori, soprattutto quelli più piccoli, dalla volatilità dei prezzi e la concorrenza internazionale sempre più feroce.

La nuova PAC difende in modo più incisivo il Made in Italy?

Il modello agricolo italiano è sinonimo di eccellenza, qualità e salubrità dei prodotti in Europa e nel mondo. Le produzioni made in Italy continueranno a essere supportate anche dalla nuova PAC con interventi settoriali ad hoc. Inoltre, il sistema delle indicazioni geografiche tipiche e i consorzi di tutela permetteranno di gestire l’offerta dei prodotti, rispondendo meglio ai cambiamenti dei prezzi.

Inoltre, per quelle produzioni considerate più in difficoltà, sono stati mantenuti i cosiddetti aiuti accoppiati. La nuova PAC dunque si prefigge due obiettivi: mantenere i livelli occupazionali evitando l’abbandono delle zone rurali o di determinate colture: come pomodoro, barbabietole e riso ampiamente prodotte nel nostro Paese.

Tuttavia tante battaglie restano ancora da combattere per tutelare il made in Italy. Ricordo solo la battaglia contro il Prosek, il Nutriscore o la carne in provetta.

Ma aggiungo anche che applicando in modo uniforme e corretto la nuova PAC, l’UE potrà avere un peso negoziale diverso negli accordi commerciali con i paesi terzi. Ponendo le basi per richiedere il rispetto del principio di “reciprocità”, ossia il rispetto pieno dei nostri standard ambientali, sociali e sanitari.

Con la nuova PAC si ridurrà la produzione agricola europea? L’UE corre un rischio per la propria sovranità alimentare?

Questo è uno dei grandi nodi della nuova PAC, dal quale dipenderà molto del suo successo.

Tutti sappiamo che per effetto della pandemia l’Europa è tornata a porre al centro il tema della sua autosufficienza. Non solo nel settore agricolo.

Pochi infatti sanno che l’UE è importatrice netta di tanti prodotti fondamentali per la nostra alimentazione come il grano duro e il grano tenero. La nuova PAC, che servirà finanziariamente a realizzare gli obiettivi previsti dal Green Deal, impone agli agricoltori di ridurre l’uso di pesticidi e fitofarmaci.

O, ancora, di aumentare le produzione di BIO, ridurre il consumo di acqua e suolo. Aumentare le superfici delle nostre foreste, tutelare la biodiversità.

Per questo sarà fondamentale legare la transizione verde a quella digitale. Come? Includendo la “agricoltura di precisione” negli eco-schemi, per esempio. Consentendo così agli agricoltori di affrontare al meglio la sfida ambientale. L’UE chiederà anche ai consumatori di svolgere un ruolo decisivo, cambiando stile di vita e riducendo gli sprechi.

Nelle etichette, ad esempio, non ci sarà più una scadenza, ma un concetto di “best before”. Inoltre sarà fondamentale tornare a consumare i prodotti del territorio e di stagione, valorizzando le filiere corte o a km zero.

Approvata la PAC, cosa dobbiamo fare ancora per l’agricoltura europea?

Resta molto da fare. L’approvazione dell’accordo sulla PAC è uno snodo fondamentale per l’agricoltura, il Green Deal e il futuro dell’UE. Ma per quanto segni un punto di svolta rispetto al recente passato, questo è ancora sulla carta e tutto dipenderà dalla capacità dei decisori politici, delle aziende e dei cittadini di declinare le nuove strategie su scala locale. Con l’unico scopo di  generare un benessere diffuso e di lungo periodo.

Per questo continuerò a monitorare l’attuazione della nuova PAC e a elaborare (e condividere) nuove strategie e prospettive per il settore agricolo europeo.

 

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.