Sono cominciati i negoziati sulla direttiva salario minimo europeo in Consiglio UE, presieduto dai ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali dei 27 Stati membri. Sono convinta che l’avvio molto rapido della discussione sul testo, approvato dall’Eurocamera il 25 novembre scorso, sia un buon segnale.
Allo stesso tempo però non voglio nascondere un cauto ottimismo sull’esito dei negoziati. Gli Stati scandinavi e quelli dell’Est Europa sono pronti a opporsi alla direttiva del Parlamento europeo, come peraltro hanno fatto durante la fase emendativa in Commissione Occupazione e Affari Sociali.
Credo anche che l’approvazione della direttiva salario minimo europeo in Plenaria sia passata sottotono. Questo perché in parte sfugge l’importanza di questo testo. Il migliore possibile, che è stato votato anche dalle destre, comprese Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Direttiva salario minimo e ripartenza post-Covid
Il 26 e il 27 novembre scorso sono tornata nei territori, in particolare nelle Marche e nell’Umbria per spiegare ad amministratori locali e media quali sono le opportunità per i lavoratori e per le imprese se la direttiva salario minimo, la stessa votata in Commissione Occupazione e Affari Sociali al Parlamento UE, venisse finalmente introdotta.
Non smetterò mai di ripetere che il salario minimo europeo è uno strumento fondamentale per fronteggiare la crisi economica innescata dal Covid-19. La direttiva, una volta approvata in via definitiva, consentirà di costruire una crescita più solida di quella attuale.
Aumenta il Prodotto Interno Lordo ma anche le fila di chi ha sempre meno e i fenomeni di sfruttamento e illegalità sul mercato del lavoro colpiscono sempre più spesso donne, giovani e stranieri.
Sono convinta che tutelare il lavoro sia ciò di cui abbiamo bisogno in Italia e in Europa in cui a oggi ci sono 30 milioni di lavoratori poveri e in cui non mancano forti forme di squilibrio economico e sociale.
Se vogliamo realizzare al meglio la transizione ecologica e digitale e costruire un progresso e un benessere nuovi più equi e più inclusivi abbiamo bisogno anche di questa direttiva.
E nel minor tempo possibile. L’UE deve puntare a principi ambiziosi. Non possiamo assecondare né le richieste degli Stati scandinavi né quelle dei paesi dell’Est Europa.
Salario minimo, il muro degli Stati scandinavi e dei paesi dell’Est
Come MoVimento Cinque Stelle, le nostre speranze sono riposte nel prossimo semestre europeo che sarà guidato dalla Francia dove il salario minimo c’è già da tempo e la prospettiva è quella di rafforzarlo.
Mentre i paesi scandinavi hanno timore che la direttiva possa scardinare il loro sistema di relazioni sindacali e industriali – a torto, perché il testo non prevede un obbligo per gli Stati di introdurre il salario minimo orario – gli Stati dell’Est Europa hanno paura di perdere un determinato livello di crescita economica e occupazionale che deriva soprattutto dal minor costo del lavoro.
L’Unione europea deve dunque riuscire a risolvere i tanti problemi che oggi affliggono il mondo del lavoro. Così come il nostro Paese deve recuperare gli ultimi 15 anni, in cui, come ha ricordato anche anche il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, sono raddoppiati i contratti pirata e i casi di retribuzioni al limite della dignità.
Più diritti per tutti i lavoratori
Il mercato del lavoro è mutato profondamente. Solo prendendo atto di questi cambiamenti potremo sfruttare al massimo le risorse del Next Generation Eu.
Con il salario minimo europeo possiamo riconsegnare ai lavoratori quanto hanno perduto in termini di diritti, tutele ma soprattutto reddito. E spingere imprenditori e datori di lavoro a investire solo sulla occupazione di qualità.
Questa direttiva riguarderà tutti i lavoratori e le migliaia sottoposti a contratti pirata. Grazie alla direttiva salario minimo, l’Italia potrà finalmente rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva con il solo scopo di mettere la parola fine al lavoro sottopagato.
Questo perché il testo fa riferimento proprio al ruolo dei sindacati e al noto principio costituzionale dell’erga omnes. Le maggiori sigle sindacali possono riconquistare il potere di contrattazione collettiva a livello nazionale che anche a causa dei cambiamenti del mercato del lavoro si è via via indebolito.
È guardando all’avvio dei negoziati in Consiglio che ho ricordato che il salario minimo è una misura di civiltà, ad oggi al primo posto per i giovani che, nel nostro Paese, attendono da tempo una valorizzazione delle competenze e delle aspirazioni professionali.
Il salario minimo quindi aiuterà anche altre categorie. Dai gig worker, di cui nell’UE c’è stato un vero e proprio boom anche a causa della pandemia, alle donne.
Solo in Italia ci sono due milioni circa di lavoratrici povere. Nel mese di dicembre le statistiche dell’Istat hanno fotografato sì una occupazione in crescita ma solo per gli uomini. Segno che le donne hanno sempre più difficoltà a conciliare i tempi di vita e di cura con quelli di lavoro.
Salario minimo, dall’inizio un percorso a ostacoli
Il lavoro parlamentare per arrivare a questa misura di dignità necessaria per tutta l’Europa è durato più di un anno.
L’iter legislativo sulla direttiva per il salario minimo ha avuto inizio infatti il 28 ottobre 2020, quando la Commissione europea ha adottato la proposta sui salari minimi adeguati in linea col Pilastro dei diritti sociali del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.
L’11 novembre dello stesso anno, la Commissione Occupazione e Affari sociali ha presentato al Parlamento il testo della direttiva in prima lettura, evitando la introduzione dell’opting out. Una opzione presentata dagli Scandinavi che avrebbe lasciato ai Paesi la facoltà di adottare in tutto o in parte la direttiva. Di fatto vanificando molti degli obiettivi del provvedimento. Arginare dumping salariale e sociale, concorrenza sleale e delocalizzazioni predatorie nel mercato interno.
L’approvazione del mandato negoziale alla Plenaria di Strasburgo, il 25 novembre, che ha blindato un testo equilibrato e ricco di novità, è stata la svolta. Per la prima volta infatti l’UE riconosce che nel mercato europeo ci sono forme di concorrenza sleale e delocalizzazioni messe in atto solo ed esclusivamente per tagliare il costo del lavoro.
Sono soddisfatta perché il testo oggetto di negoziato in Consiglio è lo stesso che contiene 26 miei emendamenti. E che guarda finalmente ai lavoratori con il coraggio che serve per costruire una Europa più sociale.
Le resistenze dei paesi scandinavi
Le differenze salariali in Europa sono sempre più evidenti. Per esempio, i lavoratori danesi hanno uno stipendio medio lordo orario di 27,2 euro e quelli svedesi di 18,2 euro. Inoltre, i datori di lavoro danesi pagano il più alto costo del lavoro in Europa, 45 euro all’ora. Numeri molto distanti dagli Stati dell’Est Europa e del Sud Europa.
Ricordo sempre anche che il salario minimo percepito in Lussemburgo è di 2.201 euro, in Romania di 466 euro. Senza principi e regole comuni, il dumping salariale rischia di diventare la norma danneggiando interi territori.
La Svezia
Gli svedesi temono che un salario minimo legale possa portare i datori di lavoro a contestare gli accordi collettivi sulla base del fatto che esiste una soglia salariale ragionevole già per legge.
Ma tra gli elementi più innovativi della direttiva c’è il richiamo sia al salario minimo legale sia a quello fissato dalla contrattazione collettiva che soprattutto per il nostro Paese resta una priorità rafforzare. La direttiva dunque non impone l’introduzione di un salario minimo orario uguale per tutti i paesi membri. Diversamente, un salario minimo plasmato sul costo della vita di ciascuno Stato.
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Sul salario minimo è difficile fare previsioni
Al momento è difficile fare previsioni su quello che sarà l’esito del negoziato. Ci sono però diversi aspetti positivi. In Germania il nuovo governo “semaforo”, guidato dal socialdemocratico, Olaf Scholz, ha inserito tra i principali pilastri del programma l’aumento del salario minimo a 12 euro l’ora.
Un accordo che sono convinta possa fare da apripista per estendere questa misura in Italia e nel resto d’Europa.
Prospettive rassicuranti arrivano anche dalla nuova alleanza bilaterale stretta tra Italia e Francia lo scorso 26 novembre che ha portato alla firma del Trattato del Quirinale.
I due paesi hanno riaffermato il loro impegno per il rafforzamento della dimensione sociale dell’Unione Europea. Così come l’attuazione del Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali. In particolare, nell’articolo 6 dell’accordo si legge:
Le parti riaffermano l’importanza di garantire delle condizioni di lavoro e di retribuzione dignitose a tutti i lavoratori, inclusi i lavoratori delle piattaforme. Di garantire un salario minimo adeguato, di sviluppare il dialogo sociale. Di lottare contro la disoccupazione giovanile e di promuovere il diritto individuale alla formazione per favorire lo sviluppo delle competenze.
La Francia ha già un salario minimo, ma a differenza dei Paesi Scandinavi non ha una contrattazione collettiva sviluppata ma solo appena accennata. Le imprese sono infatti nella maggior parte dei casi controllate in tutto o in parte dallo Stato francese. Per la Francia la direttiva è una ottima occasione per alzare il minimo legale. E fronteggiare anche la pressione dei Paesi dell’Est in cui il costo del lavoro è molto basso.
La “Nuova Europa” di cui mi sentite parlare spesso passa anche da questa direttiva. Che ritengo essere un atto politicamente coraggioso e sensato. Ci aspettiamo che il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, continui a difendere fino all’ultimo in sede di Consiglio l’ambiziosa posizione del Parlamento europeo.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.