Amazon, colosso americano del settore del commercio online, incarna un modello produttivo senza valori e senza responsabilità sociale. Un modello in cui la ricchezza di pochi è costruita sulle spalle di molti, mortificando il lavoro, considerato il più basso fattore della produzione. La particolarità del business model di Amazon risiede nell’utilizzo degli stessi strumenti impiegati dai lavoratori. Così il colosso dell’e-commerce ne monitora le performance, spingendoli a massimizzare lo sforzo produttivo.
All’interno dell’azienda, ad esempio, il “codice a barre” non segue solo il prodotto ma anche l’operato di ogni lavoratore nella catena di distribuzione. Vi spiego meglio: Amazon infatti ha messo in piedi un sistema di geolocalizzazione con cui in pratica impone da sempre una “distanza sociale” di almeno cinque metri tra un lavoratore e l’altro. Si tratta di un meccanismo per azzerare l’interazione umana, che potrebbe rallentare la produttività e generare “massa critica” contro i metodi utilizzati dall’azienda stessa. Mentre al di fuori il medesimo strumento di geolocalizzazione e una Driver Camera permettono di verificare se e quanto il guidatore si distrae e perde tempo durante le consegne.
Da uno studio effettuato sul personale assunto da Amazon, è emerso che l’azienda non a caso sceglie di contrattualizzate i lavoratori appartenenti a categorie “svantaggiate” come giovani, donne e immigrati. Essi accettano più facilmente compromessi e hanno minori pretese in termini di salario e tutele. Questa scelta è altresì funzionale a tenere i sindacati fuori dall’azienda.
Amazon, Jeff Bezos rifiuta ogni confronto con l’Unione europea
Il 27 maggio scorso, in Commissione Occupazione e Affari sociali (Employment and Social Affairs Committee, EMPL) si è svolta un’audizione sulle violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali dei lavoratori da parte di Amazon. All’incontro istituzionale era stato invitato a partecipare anche il fondatore ed ex CEO di Amazon, Jeff Bezos, già sollecitato peraltro a fornire spiegazioni sul rispetto dei diritti dei lavoratori in una lettera inviata nell’ottobre del 2020 da un gruppo di 37 europarlamentari.
Bezos però ha preferito il silenzio. Declinando l’invito del Parlamento europeo a presentarsi in aula e a discutere dei punti più controversi del modello produttivo adottato da Amazon. Questo atteggiamento, non ci ha impedito come europarlamentari di fare il punto della situazione sugli abusi perpetrati dalla Big Tech nei confronti dei suoi dipendenti.
Nel mio intervento in Commissione ho posto l’accento sull’uso spregiudicato delle tecnologie e di opachi algoritmi ideati per generare pressione sui lavoratori e impedire l’ingresso dei sindacati in azienda. Un modello appunto lontanissimo dall’economia sociale e di mercato a cui l’Europa s’ispira. Così Amazon sceglie il dumping sociale e fiscale portato alle estreme conseguenze. E lo sfrutta come strumento per cancellare dal mercato ogni potenziale competitor. La posizione dominante oramai assunta da Amazon dovrebbe senz’altro essere contrastata anche dalla politica.
Ogni campagna sindacale avviata a livello territoriale, nazionale, europeo e internazionale non è riuscita ad aprire neppure un minimo dialogo sociale. Come legislatori europei abbiamo il dovere di intervenire al più presto. Non solo per difendere il diritto del lavoro ma soprattutto i valori e le essenze delle nostre democrazie.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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