Le elezioni europee saranno uno spartiacque. In ballo la tenuta delle nostre democrazie
“Mercato del lavoro, intelligenza artificiale, giovani, transizione ecologica e digitale: ecco le sfide principali per l’Europa di domani”, spiega l’esponente Pd. “Il no di Meloni alla proposta unitaria delle opposizioni sul salario minimo? Il governo dovrà dare una risposta all’Unione entro novembre”.
Le elezioni europee in programma a giugno possono rappresentare uno spartiacque fondamentale per il futuro politico del nostro continente. In un periodo storico particolarmente complesso, basti pensare ai conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, è ancor più importante avere un’Europa forte e coesa, capace di far sentire la propria voce. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Daniela Rondinelli, europarlamentare Pd del Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici.
Onorevole, questa tornata elettorale è per tanti motivi cruciale. Eppure il voto alle europee ha spesso registrato alte percentuali di astensionismo. Perché è importante far capire agli elettori che è necessario recarsi alle urne? “L’Europa unita è un progetto sempre in divenire. Queste elezioni sono davvero uno spartiacque. Veniamo da anni in cui le istituzioni hanno dovuto affrontare sfide imprevedibili e nuove, che hanno reso il continente più unito. Penso alla pandemia, all’invasione russa dell’Ucraina, con la necessità di renderci indipendenti dal punto di vista energetico, al Next Generation EU. Per la prima volta dopo oltre 70 anni ci troviamo a dover affrontare una guerra all’interno dei confini europei e una appena fuori. Queste elezioni saranno quindi fondamentali per capire quali scelte politiche vuole compiere l’Europa di fronte a tali crisi. È evidente che l’obiettivo di Putin è quello di destabilizzare l’Ue e in generale il mondo. Non dimentichiamoci che nel corso del 2024 si recheranno alle urne ben quattro miliardi di persone. Ci saranno dunque nuovi equilibri geopolitici a livello globale. Per questo andare a votare è il modo migliore per garantire la tenuta delle nostre democrazie”.
Come si porrà l’Europa del futuro di fronte a queste sfide?
“Con le elezioni di giugno si contrappongono due modelli di Europa completamente diversi. Le forze sovraniste guardano a un ritorno degli Stati nazionali, per cui le istituzioni europee dovrebbero contare sempre meno. Pensare che i Paesi da soli possano affrontare i grandi problemi di questo mondo mi sembra decisamente anacronistico. La proposta di noi progressisti è invece quella di avere più Europa, cioè creare una reale unione politica, per avere come continente una sola voce con cui affrontare queste sfide. Per raggiungere un obiettivo così ambizioso servono scelte coraggiose, in primis dando un diverso assetto istituzionale all’Unione europea”.
Come cambierà l’Ue dopo questo voto e quali crede saranno gli equilibri tra le varie forze politiche? Teme un’avanzata dell’ultradestra?
“Il nostro obiettivo è vincere le elezioni portando avanti il nostro disegno di Europa. L’incertezza legata alle guerre in corso e alle minacce alle nostre democrazie deve far scattare nei cittadini europei l’importanza di un voto consapevole. Credo che le alleanze che hanno governato le istituzioni in questi cinque anni abbiano saputo dare risposte efficaci alle crisi affrontate. Ad oggi vedo il Ppe politicamente spaccato, perché non tutti sono d’accordo sul sostegno a Ursula Von Der Leyen. Noi come Socialisti & Democratici abbiamo il nostro candidato per la Commissione che è Nicolas Schmit. Puntiamo a ricreare dopo il voto un patto politico come quello che ha governato in questi anni, vale a dire un’alleanza forte tra popolari e socialisti, cioè tra le forze europeiste. L’avanzata della destra preoccupa, ma personalmente temo molto il fatto che il prossimo turno di presidenza dell’Ue, tra luglio e dicembre di quest’anno, sia dell’Ungheria di Orban. Non esattamente uno strenuo difensore della democrazia. Sarà una grande sfida perché coincide proprio con il periodo in cui si costruiscono le alleanze politiche all’interno delle istituzioni europee”.
Tra i temi chiave nel prossimo futuro ci sono l’attuazione della transizione ecologica e di quella digitale. E poi il mondo del lavoro, in particolare per quanto riguarda le giovani generazioni.
“La questione del lavoro è proprio quella che mette in concorrenza sleale le imprese a livello europeo. Questo perché ad oggi esistono 27 sistemi diversi di politiche attive, di mercato del lavoro, di contrattazione collettiva. L’occupazione deve quindi diventare una tematica a livello europeo. Proprio le transizioni digitale ed ecologica stanno trasformando il mercato del lavoro, che non può essere trattato più solo a livello nazionale. Servono norme che siano uguali in tutti i Paesi dell’Unione: penso ad esempio a temi molto cari ai giovani, come lo smart working e il diritto alla disconnessione, il ruolo sempre più preponderante degli algoritmi, la tutela delle nuove professionalità”.
A tal proposito in questi giorni è arrivato l’ok del Parlamento europeo all’AI Act. L’intelligenza artificiale offre sicuramente grandi opportunità, ma può presentare anche dei rischi. Per questo va regolamentata.
“L’IA è sicuramente la sfida più attuale, che sta cambiando il nostro modo di relazionarci, entrando nella vita privata e professionale delle persone. L’uomo deve trarre vantaggi dalla tecnologia, non esserne schiacciato. Se in alcuni settori, penso a quello sanitario, l’applicazione dell’intelligenza artificiale sta dando risultati straordinari, in altri ambiti, con la capacità dell’algoritmo di autogenerarsi, rischia di sfuggirci di mano. Con questo regolamento europeo abbiamo chiarito come deve essere attuata. Va ad esempio controllata per quanto riguarda la diffusione di disinformazione e fake news, non deve ledere diritti e libertà dell’individuo. Inoltre deve essere sempre presente il controllo umano, in modo da governare l’utilizzo di questo strumento. In ambito lavorativo, l’IA può essere un buon alleato per migliorare le proprie prestazioni, ma al tempo stesso potrebbe finire per sostituire l’uomo in alcune professioni, ad esempio i traduttori o gli analisti”.
Un altro tema di grande attualità è la direttiva per i lavoratori delle piattaforme digitali. Per la prima volta l’Ue ha garantito delle importanti tutele a queste categorie.
“Lo scopo è riuscire a regolamentare l’utilizzo dell’algoritmo, che può arrivare a misurare le prestazioni dei lavoratori e licenziare personale. Un caso emblematico è stato quello dei riders. Oggi con questa direttiva il lavoratore deve essere messo nelle condizioni di sapere che tipo di algoritmo guida il suo lavoro e come viene utilizzato”.
Lei è autrice del libro “Salario minimo europeo”, con cui ripercorre le tappe che hanno portato alla Direttiva europea Salari minimi. Il governo italiano ha affossato la proposta unitaria delle opposizioni. Perché sarebbe importante introdurlo anche nel nostro Paese e che prospettive reali ci sono per una sua attuazione?
“Questa direttiva stabilisce il principio per cui ogni lavoratore non può essere retribuito sotto una soglia minima, altrimenti è sfruttamento. Viene inoltre stabilito che la contrattazione collettiva è lo strumento principale di ripartizione della ricchezza. In Italia i salari non crescono, inoltre il 57% dei lavoratori ha un contratto collettivo scaduto. Per questo le opposizioni hanno proposto una legge sul salario minimo. La posizione del governo è incomprensibile, visto che il dibattito parlamentare è stato interrotto e non sono state neppure convocate le parti sociali per sentire le loro proposte. Ricordo che le direttive europee devono essere attuate dagli Stati entro due anni dall’approvazione. Palazzo Chigi dovrà dunque dare delle risposte all’Unione entro novembre”.
Nelle scorse settimane si è discusso molto delle proteste degli agricoltori. Come membro della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, pensa che le istituzioni europee abbiano commesso degli errori? Cosa si può fare in concreto per accogliere le istanze di questi lavoratori?
“Non credo siano stati commessi degli errori. Gli obiettivi stabiliti dal Green New Deal, per contrastare il cambiamento climatico, non sono stati raggiunti secondo le date prestabilite, perché nel frattempo è cambiato il quadro internazionale, in particolare con la guerra in Ucraina. Il mondo agricolo non è stato adeguatamente coinvolto dalle istituzioni, e ha quindi vissuto alcuni provvedimenti come un’imposizione calata dall’alto, anche se come Parlamento europeo abbiamo cercato di migliorarli. Credo che l’Europa che verrà debba ascoltare le istanze di questo mondo, modificando l’attuale politica agricola comune. Gli agricoltori vogliono la transizione ecologica, ma devono sentirsi parte di questi processi. Noi parlamentari europei avevamo già intercettato da tempo il malcontento che poi ha portato alle manifestazioni dei “trattori”. La protesta, vorrei evidenziare, è nata non contro l’Unione europea, ma per provvedimenti presi dai governi nazionali”.
Lei è stata relatrice della risoluzione sulla proposta di iniziativa legislativa per la tutela sociale e professionale di artisti e creativi. Quali garanzie vengono previste per questi lavoratori, tra i più colpiti dagli anni della pandemia?
“Si tratta di un mondo che purtroppo ha condizioni di impiego molto fragili. Chiediamo agli Stati membri di riformare i loro sistemi di welfare sociale, per far sì che questi lavoratori siano tutelati. Molti di questi professionisti hanno delle discontinuità dal punto di vista del reddito e spesso lavorano in diversi Paesi europei. Abbiamo cercato soprattutto di dare delle linee guida per attuare delle efficaci politiche nazionali sul tema”.
Tra le questioni di cui lei si sta maggiormente occupando c’è quello dei tirocini di qualità, fondamentali per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Cosa prevedono?
“È un tema cruciale a livello europeo, nel tentativo di vietare i tirocini gratis o a rimborso spese. Ho fatto una battaglia per far sì che questi giovani abbiano almeno il salario minimo. Sia in Italia che in altri Paesi, chi entra nel mercato del lavoro tramite questi stage non solo non viene retribuito o prende pochissimo, ma non c’è nemmeno la figura di un tutor che lo formi e gli permetta di acquisire nuove competenze. Così vengono mortificati i loro talenti e le loro aspirazioni. Con i tirocini di qualità vogliamo togliere questa pratica di sfruttamento. Se un giovane decide di andare a lavorare all’estero per fare un’esperienza è positivo, ma se è costretto a farlo perché nel proprio Paese non ci sono condizioni adeguate, questa è una sconfitta per tutti”.