Pochi giorni fa abbiamo celebrato la Giornata internazionale delle donne.
Doveva essere un 8 marzo incentrato sulla rivendicazione delle pari opportunità soprattutto nel mondo del lavoro e nella speranza di nuove prospettive e risorse previste dal Pnrr.
Un 8 marzo per dire basta alla violenza maschile contro le donne per rafforzare gli strumenti di prevenzione e di protezione. Negli anni del covid, con lockdown, restrizioni, smart working, le donne hanno visto acuire il gender gap.
Ma dopo la pandemia è arrivata la guerra e il suo carico di dolore. E non possiamo, anzi non dobbiamo, voltarci dall’altra parte. Le donne ucraine sono le prime vittime e al tempo stesso grandiose protagoniste di pagine buie e tristi che non avremmo voluto vivere. Nel conflitto che si sta consumando, sono loro a pagare il prezzo più alto. Da un lato, impegnate a difendere i propri figli e i propri familiari in fuga verso l’Unione europea. Dall’altro, decise a combattere imbracciando le armi contro l’aggressione russa.
A loro, alla loro resilienza e al loro coraggio, abbiamo dedicato l’8 marzo del 2022. Mentre continuano ad arrivare dall’Ucraina immagini cruente di una guerra ingiusta e inaccettabile che pretendiamo si concluda al più presto con la riaffermazione della Diplomazia e della Pace.
Donne e lavoro, le difficoltà che resistono
La guerra in Ucraina però non cancella la situazione difficile per le lavoratrici italiane ed europee che continuano a fare i conti con discriminazioni e divari di ogni tipo.
Come accertato dall’Inps, nel nostro Paese le pensioni per le donne sono più basse del 27% conseguenza delle disuguaglianze salariali.
E in 13 anni, dal 2008 al 2021, il tasso di occupazione femminile è cresciuto soltanto di 2,6 punti percentuali, come rivela la fondazione Di Vittorio.
Il Covid-19 ha aggravato ulteriormente le disuguaglianze di genere, soprattutto, per quanto riguarda la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. E sta avendo un drammatico impatto sulla salute mentale delle donne.
Secondo i dati raccolti da Eurofound, le donne si sentono probabilmente più stressate (47% rispetto al 43% degli uomini), sole (33% vs 29%) o depresse (33% vs 30%).
Oltre l’8 marzo, Il mio impegno al Parlamento UE
Nell’ambito dei lavori della Commissione Occupazione e Affari sociali al Parlamento europeo, ho sempre sostenuto provvedimenti specifici e tutti quei dossier che possano incidere realmente sulle prospettive future delle donne europee, al fine di renderle parte sempre più attiva del processo di crescita della nostra società. E ancor più protagoniste della ripresa post-pandemica.
Migliorare la parità di genere significa infatti creare fino a 10,5 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050 – il 70 per cento occupato dalle donne – e aumentare il Prodotto interno lordo pro capite UE dal 6,1 per cento al 9,6 per cento.
Voglio quindi ripercorrere con voi il mio impegno sul tema della parità di genere, dell’empowerment, della precarietà e della discontinuità lavorativa.
Salario minimo e povertà lavorativa
Voglio farlo prendendo in considerazione alcuni dei principali temi sui quali sono più volte intervenuta. A cominciare da quella che considero da sempre una priorità assoluta: l’introduzione del salario minimo.
Nei 21 Paesi europei dove il salario minimo è stato introdotto, il 60% delle percettrici sono donne. In particolare, in Germania, Irlanda, Portogallo e Polonia si sono rilevati effetti positivi sulla riduzione del gender pay gap. La Germania, uno degli ultimi Paesi Ue a introdurre il salario minimo, ha visto una riduzione del pay gap dal 19,6 al 17,1 per cento. Mentre in Irlanda è passato dal 26% al 5%.
Con il sì del Parlamento europeo alla direttiva sui salari minimi avremo presto, questo l’auspicio, un’arma fondamentale per ridurre la povertà lavorativa, specialmente quella femminile.
Le donne infatti, così come i giovani, rappresentano una delle categorie più vulnerabili a livello contrattuale. E svolgono spesso mansioni in settori dove i salari sono più bassi, come i servizi alla persona o la ristorazione.
Divario salariale di genere
Un altro grande tema per il quale mi sono sempre spesa è la necessità di colmare il divario salariale di genere.
Dire: “uguale salario per uguale lavoro” non è uno slogan ma la sintesi per descrivere uno dei diritti fondamentali purtroppo ancora “tra i meno rispettati” nell’Unione europea.
La proposta di una direttiva sulla trasparenza salariale punta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne. La direttiva mira a garantire la trasparenza salariale, migliorando l’accesso alle informazioni relative alle buste paga e alle carriere professionali.
Ho personalmente contribuito a migliorare il testo della relazione, presentando degli emendamenti che sono stati poi inseriti nel testo:
- il riconoscimento del ruolo del sindacato come unico soggetto in grado di tutelare le lavoratrici, per superare la definizione, proposta dalla Commissione europea, di “rappresentanti dei lavoratori” che avrebbe concesso in maniera arbitraria al datore di lavoro di sceglierli;
- l’allargamento dell’ambito di applicazione della direttiva. La Commissione europea infatti ha chiesto di escludere le imprese con meno di 250 dipendenti, esentandoli dall’obbligo di rendicontazione. Abbiamo dunque chiesto e ottenuto che questa deroga venga applicata solo alle imprese con meno di 10 dipendenti.
Salute e sicurezza sul lavoro
Vorrei infine ricordare il tema della salute e sicurezza sul lavoro. Il Parlamento europeo ha inserito nella sua relazione relativa al “Nuovo quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro post-2020” la dimensione di genere, inizialmente assente.
In particolare è stato evidenziato come i lavoratori possono essere più esposti e più vulnerabili a diversi tipi di sostanze o rischi a seconda del sesso.
Inoltre, per un’oggettiva differenza nei carichi di lavoro familiare e domestico, che ancora permane, si è ritenuto importante considerare gli aspetti di genere in relazione all’evoluzione del mondo del lavoro, comprese le opportunità e le sfide, relative alla salute e sicurezza associate al lavoro da remoto e al diritto alla disconnessione.
Tutti questi sono interventi che ritengo assolutamente necessari e mi auguro possano diventare al più presto parte integrante del progetto della Nuova Europa che vogliamo portare avanti.
Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.